Con il parmigiano reggiano è il formaggio italiano più imitato al mondo. Infatti, la mozzarella di bufala, che ha i natali in Campania, conquista sempre più palati a livello internazionale costringendo a metter su allevamenti di bufali nei posti più disparati del pianeta. E la sua fortuna non è un caso. La mozzarella, infatti, ha una storia secolare che inizia, secondo alcune fonti, nel 1200, quando i monaci del monastero di San Lorenzo in Capua offrivano ai pellegrini in visita alla chiesa un pezzo di pane e una “mozza”. Anche se ci sono citazioni che risalgono addirittura a Plinio il vecchio che parla di “Laudatissimum caseum del Campo Cedicio”, identificabile in quell’area tra Mondragone ed il fiume Volturno, che ancora oggi si chiama zona dei “Mazzoni” dove è molto diffuso l’allevamento bufalino. All’epoca di Plinio sicuramente si trattava di formaggi preparati con il latte vaccino; ma quando il territorio si è trasformato attraverso il fenomeno dell’impaludamento, il bufalo ha trovato l’habitat naturale sostituendo mucche e latte vaccino nella preparazione di quel che già era considerato un formaggio prelibato. Dobbiamo, però, arrivare al 1500 per trovare, secondo documenti di archivio, la prima dicitura ufficiale di mozzarella al mercato di Capua. Mentre nel 1570 appare per la prima volta, in un libro di cucina curato dal cuoco della corte papale, Bartolomeo Scappi, il termine mozzarella. Poi nel 1700 inizia una vera e propria attenzione istituzionale, verso uno dei migliori prodotti di Terra di Lavoro, da parte dei funzionari della corte borbonica e nella tenuta reale di Carditello, provincia di Caserta, fu istituito quello che si può ritenere un primo sommario disciplinare per la sua produzione e conservazione prima di raggiungere il mercato. Oggi nel rigido disciplinare di produzione della mozzarella di bufala, che ha ricevuto la Dop nel 1996, sono descritte tutte le fasi di produzione. Da un quintale di latte bufalino si ricavano in media 31 kg. di questo formaggio a pasta filata di forma, generalmente, tonda; ma è lavorata anche a bocconcini, treccine, nodini e ciliegine a seconda di come il mastro casaro “mozza”, con il pollice e l’indice, la pasta mentre l’aiutante tiene ferma il resto dell’impasto. La Dop è riservata alle zone tra il Volturno ed il Garigliano, alla media e bassa valle del Sele, alle terre tra Licola ed i Regi Lagni ed in limitate zone del Lazio e del Foggiano con cui sono nate le dispute sul marchio d’origine. Come nascono gare e competizione tra le maggiori zone di produzione campane: il casertano ed il salernitano che si contendono il primato di quella più buona. In ogni caso, di Battipaglia o di Aversa che sia, essa è entrata a pieno titolo nei menù di tutti i ristoranti della regione ed è diventata uno degli ingredienti essenziali di tutte le pizze che si preparano con i prodotti Dop. Anche in cucina è celebrata in tanti piatti che vanno dalla tradizione popolare fino alle preparazioni gourmet di chef stellati che esaltano il sapore unico del suo latte.