Siamo a Torre Annunziata (Napoli), e nel centro della città oplontina c’è ‘Casa Caponi’ di Vincenzo Pagano, giovane imprenditore. Ha cominciato l’avventura qualche anno fa, prima della pandemia che lo ha costretto a fare i conti, come tanti, con un periodo difficile. Il segreto è un altro e si chiama Antonio (Tony), 26 anni, diploma all’Alberghiero di Vico Equense, ragazzo con sindrome di down con un sorriso acchiappacuori che lascia senza fiato. E’ lui il ‘re’ dell’accoglienza (‘Ma solo a pranzo perché altrimenti si stanca troppo” dice Vincenzo). Antonio – o, meglio, Tony n.1 come lo chiamano i colleghi di sala Luigi, Raffaele, Roberta, Mirko… – riceve i clienti, da’ loro consigli sulle tipologie di pizze, si preoccupa che tutto vada in ordine insieme con i suoi colleghi. “E’ diventato un punto irrinunciabile per tutti noi’ spiega all’ANSA Vincenzo che si fa fotografare volentieri col ‘suo’ Tony. “Mi ha catturato fin dal primo giorno che ho conosciuto Antonio e i suoi genitori – continua non senza un po’ di emozione il titolare di Casa Caponi – ha una caratteristica umana speciale, un cuore e un sorriso ai quali non puoi dire di no”. “Sono contento di stare qui, mi piace aiutare le persone” aggiunge Antonio mentre cerca con lo sguardo il ‘consenso’ dei genitori. La pandemia si è fatta sentire anche per Antonio e per i ragazzi che hanno una disabilità come lui. Aveva cominciato poco tempo prima dello scoppio della pandemia e poi è stato costretto a rimanere chiuso in casa con effetti negativi sulla sua crescita. Il ritorno in pizzeria gli ha ridato la fiducia che aveva perso. Si sente amato e coccolato. Tutti hanno un’attenzione per lui perché lui ha attenzione per tutti, clienti e dipendenti. Ma non c’è troppo spazio per i sentimentalismi: bisogna lavorare per dare il massimo a chi chiede servizio di qualità. Antonio e Vincenzo, con i loro grembiuli grigi, lo sanno. E quindi Tony ritorna nel suo ruolo di ‘accoglienza’. “Antonio è il nostro vero valore aggiunto” racconta Vincenzo, sposato e con una bambina, 42 anni, che cominciò l’avventura con un socio, poi le strade si sono divise. “Lo dico proprio dal punto di vista dell’interesse economico oltre che, naturalmente, umano. E’ un vero ‘plus’, un elemento che da’ un tocco particolare al nostro locale”. Insomma un esperimento riuscito di inserimento in un’attività lavorativa. “Siamo felici dell’impegno che coinvolge molto positivamente Antonio” dice la mamma con un pizzico di orgoglio. “E’ la dimostrazione che anche i ‘diversamente abili’, come elegantemente si definiscono i ragazzi con sindrome di down, hanno tante possibilità purchè si cerchino le strade giuste. Noi siamo stati fortunati a trovare una persona come Vincenzo che ha creduto nella possibilità di coinvolgere in qualche modo il nostro Antonio. Ma capisco anche che ci sono tante famiglie che andrebbero aiutate e, purtroppo, le istituzioni sociali spesso sono assenti”. E’ una storia nota. Ma stavolta ha funzionato la fiducia, il tam tam del cuore e della solidarietà. In una terra spesso connotata da luoghi comuni – tanti – e assenza dello Stato quando serve. “Non voglio fare le solite lamentazioni – aggiunge il padre – non serve a niente. Occorre impegnarsi, lavorare per dare un futuro anche a chi ha problemi”. Il ‘miracolo’, comunque, è avvenuto. Non c’è bisogno di scomodare il libro ‘Cuore’: gli occhi di Antonio sorridente stanno lì a dimostrarlo mentre abbraccia Vincenzo. (FONTE ANSA)