Influenza, peste, o vaiolo. Non importa quale sia stata in passato l’epidemia a scandire il periodo storico di riferimento, ma quanto la società cambia in relazione a quello che è stato. Ai nuovi tempi, alle abitudini scandite dal proliferare della malattia, esattamente com’è stato per il Covid – 19. E mentre il mondo cambia e muta anche l’umanità, si fa strada un nuovo spiraglio di luce: la vaccinazione, che, se diffusa, permette di cambiare persino l’approccio scientifico alla malattia. E’ questo che ha spiegato il dottor Clemente Cipresso, giovane perfusionista di cardiochirurgia di origini campane, da anni impegnato anche sul piano divulgativo.
<<Le epidemie del passato hanno spinto scienziati e medici a riconsiderare tutto, dalla loro comprensione della malattia ai loro metodi di comunicazione. Uno dei momenti storicamente più importanti, durante il quale la ricerca ha cominciato a muovere dei passi in avanti, è stato dato dal proliferare della peste bubbonica, la quale attraversò l’Europa alla fine del 1340, come la peste nera, che poi colpì sporadicamente anche altre parti dell’Europa, dell’Asia e del Nord Africa nei successivi 500 anni. Le persone morivano ed intere città erano completamente impotenti davanti al fenomeno. Eppure proprio questi anni, gli anni della peste, hanno innescato – continua Cipresso – uno studio più sistematico delle malattie, che hanno dato vita ai primi manuali>>. Tuttavia, l’insorgere delle prime epidemie e della loro documentazione, hanno fatto sì che si sviluppasse, parallelamente a tutto questo, anche un’azione di prevenzione, che partiva dalla quarantena – termine ormai noto a tutti – fino alla misura del tracciamento dei contatti. <<Come notiamo, già a partire da quell’epoca sono stati introdotti termini che utilizziamo ancora oggi, e che mai come ora risultano essere all’ordine del giorno – ha continuato il chirurgo. Basti pensare anche al colera, che ormai più di due secoli fa ha inginocchiato persino New York, o la terribile influenza del 1918, “eclissata” a causa dello scoppio della Grande Guerra. Sebbene la pandemia del 1918 abbia contribuito a stimolare un nuovo campo della virologia, quella ricerca avanzò lentamente fino all’arrivo del microscopio elettronico nei primi anni ’30>>.
E poi l’inizio di una nuova documentazione, quella su pazienti che avevano contratto l’HIV. <<Siamo agli inizi degli anni ’80 del secolo scorso, ma le cure sperimentali su pazienti affetti da AIDS hanno lasciato una grande eredità – continua Cipresso. Una nuova generazione di pazienti-attivisti ha combattuto tenacemente per la propria sopravvivenza, chiedendo un rapido accesso ai trattamenti sperimentali. Alla fine hanno vinto la battaglia, rimodellando le politiche per le successive approvazioni dei farmaci. Ma non è stata l’epidemia in sé – il danno, il numero di morti dell’AIDS – che ha fatto sì che ciò accadesse, erano attivisti che erano organizzati e persistenti, davvero al di là di qualsiasi cosa la nostra società avesse mai visto. Ed è dunque attraverso questa “lente” dell’azione umana che si immagina la potenziale eredità scientifica del COVID-19. La pandemia, come i suoi predecessori, ha gettato luce su verità scomode, che vanno dall’impatto delle disuguaglianze sociali sulla salute agli sprechi negli studi clinici ai miseri investimenti nella salute pubblica. Incombono domande su come rafforzare i laboratori, finanziariamente o meno, che sono stati immobilizzati dalla pandemia. Sulla scia del Covid-19, i ricercatori rimodelleranno ciò che studiano e come funzionano, accelerando potenzialmente i cambiamenti già in corso? O entrerà in gioco quella che viene definita “amnesia sociale”, alimentata dal desiderio di lasciarsi alle spalle una pandemia? Le risposte arriveranno nel corso di decenni, e sicuramente l’impulso a nuovi cambiamenti è stato attivato già in questi lunghissimi mesi che abbiamo trascorso catapultati in una realtà che credevamo ormai superata>>.