Nell’anno 2020 si è riscontrato un aumento del 20% delle richieste di divorzio, con un notevole incremento delle violenze all’interno del nucleo familiare. Matrimoni rinviati, altri logorati dal lockdown e finiti, la maggior parte dei quali senza nemmeno passare dal giudice, tra negoziazioni assistite e accordi davanti all’ufficiale di stato civile. Notevole l’aumento anche di episodi di violenza, nonostante l’inevitabile calo di denunce per paura di ripercussioni all’interno delle mura domestiche. I centri antiviolenza hanno registrato un aumento dell’11% delle richieste di aiuto, con ripercussioni sui figli minori. Ma in linea generale l’incremento eccezionale dei divorzi sembra dipendere da alcuni elementi ben definiti che si sono ben consolidati nel tempo, tra i quali il fatto che il matrimonio oggi è visto più come un contratto sociale che un sacramento, che le donne sono economicamente più indipendenti per poter decidere di separarsi invece che resistere in un matrimonio infelice. Nascono di conseguenza nuove esigenze da parte della comunità, soprattutto sul fronte lavoro e welfare e per questo l’Italia deve correre e continuare ad implementare misure di flessibilità organizzativa nel tempo. La cultura della separazione deve passare necessariamente per il lavoro e per il welfare nell’ambito di una reale sostenibilità, soprattutto in un periodo di cambiamenti globali in cui è fondamentale promuovere valori che ruotano attorno allo sviluppo dell’individuo, della famiglia e della collettività.