Piatti e tradizioni gastronomiche raccontate dal direttore della Taverna del Leone di Positano
Quando scelgo i miei viaggi, in quel poco tempo che il mio disgraziato lavoro di ristoratore mi concede, tradisco palesemente la mia indole mangereccia elevando gli aspetti culinari tra i massimi criteri discriminanti di scelta. E così è stato quest’anno per il Vietnam, affascinante terra dalla storia millenaria, dalle mille contraddizioni che tanto sono tipiche di paesi che da poco si sono affacciati al balcone della globalizzazione. Ma il cibo, ah il cibo…qualcosa che raramente si trova nel resto d’Asia. La tradizione culinaria vietnamita risponde ad un semplice concetto: l’equilibrio. Ogni elemento deve vivere in simbiosi con il suo opposto, nessun piatto dovrà tendere troppo verso la dolcezza, verso l’acidità, la sapidità, l’asprezza. Più nello specifico, la cucina vietnamita è guidata dal principio dei 5 elementi, ai quali corrispondono sensazioni gustative, organi, colori, sensi, principi nutritivi. Tutto deve essere in armonia. Inoltre, la freschezza degli ingredienti svolge un ruolo fondamentale. Anche l’uso di erbe fresche è diffusissimo, dal nord a sud, dalla menta al coriandolo. Già qui si può intuire perché anche noi italiani, che poco amiamo, per storia e tradizione, cibi eccessivamente speziati e saporiti, tanto adoriamo questi sapori. Ma lasciate che vi racconti di qualche piatto: La zuppa principe, la Pho, consumata in verità spesso per colazione (vi assicuro che dona una carica non indifferente!), è squisita nella pulizia dei sapori. Noodles di riso, brodo di manzo, straccetti di manzo bolliti al momento dell’ordine (tagli che vanno dal filetto, all’entrecôte, al brisket, a seconda dei gusti), erbe fresche (coriandolo, cipollotto, germogli di soia, basilico thai) e l’onnipresente condimento a base di salsa di pesce, lime, zucchero e, a piacere, peperoncino. Lungo tutto il paese si trovano poi diverse varianti, anche con pollo, ma la sostanza rimane di una squisitezza rara. Uno dei miei piatti preferiti è stato il Cha Ca, provato ad Hanoi, dove c’è un’unica strada dedicata solo a questa specialità. Si compone di filetti di pesce, normalmente “snakeheads”, marinati con un gentile mix di spezie a base di curcuma, e scottati in padella al momento, al centro del tavolo, con aneto e cipollotto fresco. Il cameriere accende solo la fiammella, poi lascia tutto ai commensali. Ai lati, in piccole ciotole, sottili noodles di riso, coriandolo, arachidi, cipollotto e salsa di pesce. Tutto al momento, tutto fresco, tutto a piacere dei commensali. Il sapore è fresco, pulito, ogni singolo sapore si staglia singolarmente contro l’altro, completandosi allo stesso tempo. Unico. Altra meraviglia, il Banh Cuon. Una specie di crêpe, fatta con una pastella di riso fermentato, cotta al vapore al momento, ripiena poi di carne di maiale, funghi e scalogno. Chiusa e tagliata a tocchetti, viene completata con scalogno fritto e coriandolo fresco. Ad accompagnare, indovinate un po’…salsa di pesce! Ma delicata e armoniosa come non mai. Piccolo bonus: avevamo letto di un ingrediente speciale da poter aggiungere, delle gocce magiche, e quando la chiediamo alla cameriera (con arduo sforzo linguistico), ella annuisce e ce lo porta. Una sola goccia nella salsa di pesce, presa con una bacchetta da una piccola boccettina, è stata sufficiente ad irrorare il nostro condimento di un profumo mai sentito, inusuale e affascinante allo stesso tempo, quasi d’ambra, quasi sensuale. Sembrava più roba da profumiere che da gastronomi. Cos’era? Estratto di feromoni di un particolare insetto gigante del sud Vietnam. Ecco da dove veniva la sensualità. Insomma, giusto 3 esempi che spero siano serviti ad una parziale e sicuramente incompleta introduzione ad una tradizione gastronomica sconfinata, estremamente pulita, armoniosa e attenta ai singoli ingredienti. In fondo, in questo, non affatto lontana dalla nostra. Giuseppe Guida