E’ il tempo di sua maestà il maiale

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La tradizione campana con il “pelatiello” dedica tanti gustosi piatti alla carne del popolare animale

Freddo intenso e camini accesi creano la giusta atmosfera ed aprono la strada ai tanti e ottimi piatti preparati con la carne di maiale. Pietanze che nascono da una storia millenaria e popolare che coinvolge tutto il bel Paese. Nell’intera Italia, isole comprese, c’è una lunga tradizione che risale ai tempi dell’antica Roma. Non solo nell’industria alimentare che sforna insaccati e costolette in quantità esorbitanti; ma soprattutto tra i contadini che ancora oggi amano allevare in proprio il maiale che macellano per uso familiare e che condividono con gli amici.  La stessa storia dell’osso di prosciutto del maiale Pompeo, protagonista di un bel racconto di Dino Buzzati, che fa il giro di tutte le pentole, dei contadini poveri della vallata, per dare sapore alle minestre che altrimenti sarebbero state poco più che erbe bollite, è l’emblema di tutto ciò che significa questo animale per la nostra cultura gastronomica. In questa favola moderna, l’osso di Pompeo riesce a distanza di anni, dalla sua macellazione, a dare ancora consistenza ai piatti grazie alla intensità del suo profumo e sapore. Ma anche al di fuori della fantasia di Buzzati, il maiale rappresenta in assoluto l’animale più apprezzato. Quello di cui non si butta nulla, quello che riesce più di ogni altro, sia con le carni fresche che conservate, a dare il meglio di se. La sua fama nella cucina occidentale trova, però, nella simbologia religiosa ebraica e islamica un contraltare negativo che ne fa un animale immondo per tutti i popoli mediorientali. Per la verità, anche per la religione cristiana (Gesù che durante un esorcismo lascia che i demoni si impossessino di una mandria di porci o il diavolo che sotto forma di maiale tenta Sant’Antonio che ne esce vittorioso) c’è stato qualche problema iniziale che, però, è stato subito superato; sia per la  popolarità che esso ha sempre goduto  sin dai tempi degli antichi romani e sia perché “i popoli occidentali avevano intuito che il suino era un incomparabile riserva di sapori”, come spiega il sociologo Corrado Barberis. Tanto che, “a furor di popolo”, le stesse raffigurazioni sacre che mostravano il porco sotto i piedi di Sant’Antonio si sono trasformate, dipingendolo al suo fianco. Oggi, Sant’Antonio Abate è considerato il protettore degli animali ed in particolare del maiale e si festeggia il 17 gennaio. Ed è proprio in questi giorni che si rinnova la tradizione che vuole il trionfo, a tavola, del suino e dei suoi mille modi di prepararlo. In Campania è il tempo del ragù preparato con cotiche e tracchie e che con il suo “pippiare” profuma case, trattorie e ristoranti. E’ il tempo della minestra maritata con piede e guanciale di maiale. E’ il tempo della salsiccia e friarielli, fegatini fritti o costolette con papaccelle. Ma  è anche il tempo, grazie al freddo asciutto, in cui iniziano le fasi di salatura e conservazione dei salami, pancette, capicolli, lardo e prosciutti, sia nelle case contadine che nelle aziende artigianali, non prima di essersi assicurati, come vuole la

tradizione, che la luna sia calante, anzi meglio se a luna sottilissima. La materia prima, ovviamente, dovrebbe essere quella dell’unica razza autoctona regionale: il maialino nero casertano. Di stazza piccola, è un suino di origine antichissime, forse il più antico d’Europa, ha  il manto nero con una scarsa presenza di setole, da cui il tradizionale nome di “pelatiello” e le sue carni sono particolarmente tenere e poco grasse. Dopo aver vissuto un periodo d’oblio è stata avviata la pratica per il riconoscimento Igp. La sua riscoperta in cucina è avventa soprattutto grazie all’opera di chef che sempre di più legano i propri fornelli ai prodotti tipici del territorio.