Quando i vigneti vesuviani sono coltivati per passione
Imprenditore per lavoro e vignaiolo per passione. Carlo Longobardi è riuscito a compiere il miracolo di mettere sotto lo stesso nome e cognome il lavoro di manager di successo e la produzione di uno di simboli più rappresentativi dell’agricoltura vesuviana. Anzi per un periodo della sua vita ha messo sotto lo stesso logo di famiglia anche l’impegno politico e l’attività di sindaco di Santa Maria la Carità. Il vino per Longobardi, come per tanti eno-appassionati, è più di un semplice piacere da assaporare dal bicchiere. Il vino prodotto con le proprie mani è il risultato di anni di paziente lavoro in vigna, di ricerca e riscoperta delle varietà autoctone ed è soprattutto il risultato dell’amore per la propria terra. E qui la terra non è una qualsiasi. Qui ci troviamo lungo i fianchi di uno dei vulcani più famosi e fertili dell’intero pianeta. Infatti, i due ettari di vigneto si trovano tra Trecase e Boscotrecase, in uno dei luoghi che hanno marchiato il terreno vulcanico con varietà di uve, Caprettone e Per e Palumm, che fanno nascere vini che hanno attraversato secoli di storia e sono diventati conosciuti a livello internazionale. Già gli antichi romani ne decantavano la bontà. In uno dei versi del poeta Marziale troviamo infatti: “Bacco amò queste colline più delle native colline di Nisa”. Perché, qui l’uva ha un sapore e un profumo inconfondibile. Tanto che la fama di questo suggestivo angolo della Campania e del suo vino ha fatto fiorire miti e leggende sulla nascita del suo nettare più apprezzato, il Lacryma Christi. Infatti si favoleggia che Dio riconoscendo nel Golfo di Napoli un lembo di cielo asportato da Lucifero, pianse e laddove caddero le lacrime divine sorse la vite del Lacryma Christi. Su questi temi cari anche alla letteratura c’è una citazione di Curzio Malaparte che nel suo libro “La pelle”, invita a bere “questo sacro, antico vino”. La zona di produzione comprende solo le aree a vocazione viticola di 15 comuni, in provincia di Napoli, localizzati sulle pendici del Vesuvio, dove i vigneti ospitano varietà autoctone da sempre coltivate che nel caso del Lacryma Christi bianco sono per l’80% il Coda di volpe (detta Caprettone) e per il 20% Falanghina e/o Greco. Per il rosso invece, le uve sono per l’80% di Piedirosso (detto Per e Palumm) e/o Sciascinoso (detto Olivella) e per il restante 20% di Aglianico. Questo è quanto detta il disciplinare della Doc che tutela e garantisce il vino per eccellenza del Vesuvio. E questo è quanto Longobardi segue per produrre le sue diecimila bottiglie. Di cui settemila di Lacryma Christi bianco e rosso e circa tremila della varietà Lettere, un altro rosso che prende il nome dal comune collinare che si trova proprio di fronte al Vesuvio ed è tutelato dalla Doc Penisola Sorrentina. Una produzione limitata, dunque, che fa pensare a quanto pesi poco l’aspetto commerciale e quanto invece sia importante la passione e la scelta di una produzione artigianale piuttosto che industriale. Del resto molte di queste bottiglie diventano un dono per amici e parenti ed una soddisfazione da esibire con orgoglio. La parte puramente pratica è affidata a terzi, sia in termini di vinificazione con l’enologo che in termini di imbottigliamento. Mentre la scelta dei vigneti ed il governo dei processi resta nelle mani delle Cantine Longobardi, di via Palmentiello a Sant’Antonio Abate, nate circa un decennio fa. Nate per un antico desiderio di Gerardo Longobardi, padre di Carlo ed a cui è dedicato il “Don Gerà” Lacrima Christi Doc rosso. Mentre il bianco che si chiama “Adelaide” è dedicato alla madre. Due sole etichette che risultano, però, un concentrato di eccellenza che sta ricevendo riconoscimenti e apprezzamenti dal mondo enoico e dai semplici buongustai.