La cucina dei Monzù, gli chef arrivati alla corte dei Borboni dalla vicina dalla Francia, ha lasciato un segno indelebile nella tradizione gastronomica partenopea. Anzi quella pacifica e gioiosa invasione ha portato ad una contaminazione, tra due culture diverse, che ha fatto nascere capolavori che ancora oggi trionfano nelle cucine delle case e nei menù dei ristoranti, a riprova che l’incontro tra popoli diversi crea ricchezza. E i monzù (storpiatura di monsieur) grazie alla loro tecnica raffinata sono riusciti ad interpretare i prodotti del Regno delle due Sicilie in modo unico lasciando una ricca eredità gastronomica. Basti solo ricordare il sontuoso Sartù di riso per capire la potenza esplosiva del gusto di quella cucina che continua a rivivere grazie a numerosi ristoranti sparsi all’ombra del Vesuvio. E c’è anche chi ha dedicato il nome del proprio locale ai protagonisti di quell’epoca dorata per buona tavola, in particolare alla regina Maria Carolina d’Asburgo, moglie di Ferdinando IV detto re nasone. E la “Locanda Mariacarolì”, via Garibaldi a Sant’Anastisia, parte dal nome e da quall’esperienza per spaziare a trecentosessanta gradi in tutta la tradizione partenopea. Quella dei monzù e non. Lo chef Salvatore Piccolo ha cominciato da lontano, dalle navi da crociera dove si è fatto le ossa e la lunga e necessaria esperienza che è passata anche per prestigiose strutture alberghiere della Toscana e del Veneto. Poi l’apertura, insieme ad Alessia, della locanda che gli sta dando molto soddisfazione. Una soddisfazione che nasce dall’entusiasmo della clientela che qui trova una idea chiara di cucina. Un’idea che affonda le radici nei piatti della cucina partenopea e del territorio campano. Si passa dai ricci di mare alla minestra maritata, dalla genovese alla zuppa di cozze con la sicurezza della bravura dello chef e con la certezza di trovare sapori genuini grazie ad una materia prima di qualità. Ma lo chef Piccolo sa anche guardarsi intorno e ispirarsi a ciò che di buono offre la propria terra. E l’altra faccia del Vesuvio, quella che con Sant’Anastasia e Somma costituisce la parte che guarda verso l’entroterra, offre una carrellata di prodotti unici. E tutti finiscono nelle pentole della Locanda, qualcuno invece finisce sui dolci, come l’albicocca “pellecchiella” che lo chef usa come ingrediente della sua Sbrisolona. La ricetta (sotto) della Sbrisolona scomposta con confettura di pellecchiella del monte Somma, racconta in modo netto del talento dello chef e della bontà di questa terra.
La Ricetta: Sbrisolona scomposta con confettura di pellecchiella del monte Somma
Ingredienti per 4 persone: 50 gr mandorle pelate, 50 gr mandorle non pelate, 100 gr burro,100 gr farina di semola ,100 gr zucchero, 1 bacca di vaniglia bourbon, 1 uovo, buccia di limone, zucchero a velo, foglie di menta, confettura di Pellecchiella (albicocca vesuviana), carta da forno.
Procedimento: tritare le mandorle ed unirle al burro tagliato a cubetti. Da parte mescolare la farina, lo zucchero, la vaniglia aggiungere una spolverata di buccia di limone. Quindi unire all’impasto di mandorle e burro il resto degli ingredienti e lavorare a mano su un piano. Aggiungere il tuorlo d’uovo e continuare ad lavorare. Posizionare l’impasto al centro della carta da forno, poggiarci sopra un secondo foglio e stendere l’impasto con il matterello ottenendo una sfoglia sottile. Rimuovere il secondo foglio e poggiare la carta con l’impasto in una teglia. Infornare a 180 gradi per 13 minuti. Far raffreddare e sbriciolare l’ impasto con le mani fino. Impiattare a forma di mezza luna, completare con la confettura, la menta e lo zucchero a velo.