Nella notte di San Giovanni si ripete il rito della raccolta per preparare il famoso infuso
Tra mito, leggenda e realtà, la raccolta delle noci, per il nocillo, è da sempre caratterizzata da una suggestiva tradizione. In molte zone d’Italia il rito prevede che esse siano raccolte nella notte di San Giovanni, cioè tra il 23 e 24 giugno. Giorni, che coincidendo con il solstizio d’estate, vedono le ore di luce solare di gran lunga superiori a quelle buie della notte. Ed è forse da questa realtà scientifica che nasce la leggenda della vittoria della luce sulle tenebre e della vita sulla morte, facendo, scaramanticamente, di quei giorni i più propizi per la raccolta delle noci, ma anche di tante erbe officinali. Precisiamo, però, che stiamo parlando di noci acerbe, con il mallo verde. Perché è quando ancora si deve sviluppare il guscio che la noce dona all’alcool in cui viene immersa tutto il gusto della sua anima. Quest’infuso insieme ai chiodi di garofano, la cannella e lo zucchero danno il digestivo più famoso e antico della storia patria. A seconda delle zone e delle tradizioni c’è chi aggiunge dei chicchi di caffé e chi una buccia di limone. In ogni caso rimane l’amaro più preparato nelle case italiane dove viene chiamato nocino, tranne in Campania dove prende il nome di nocillo. Ed è proprio in Campania che esiste l’ecotipo più rinomato: la noce di Sorrento. Il suo colore richiama quello delle sfumature dell’autunno, proprio quando è pronta per essere raccolta e consumata; mentre il nome è tutt’uno con il luogo dove è nata, per poi colonizzare gran parte della Campania. La noce di Sorrento non è solo una varietà o, come si dice in gergo, una cultivar; ma è la noce per eccellenza. Tanto che tra tutte quelle che si coltivano in Italia è considerata una delle progenitrici, comunque la più pregiata. Vi sono testimonianze della sua presenza in zona che risalgono all’epoca greca e romana ed il suo nome in latino la dice lunga sulla considerazione che gli antichi avevano di questo frutto: Jovis Glans, ghianda di Giove. Nella “Villa dei Misteri”, a Pompei, vi sono alcuni dipinti che la riproducono, indicando come già all’epoca era diffusa ed apprezzata. Quindi, in penisola sorrentina, da oltre duemila anni, continua ad essere coltivata in quello che è considerato l’habitat ideale per lo sviluppo armonico e robusto del suo albero. Tra tutti gli ecotipi che si rifanno alla noce di Sorrento, oggi, i più coltivati e commercializzati sono due. Uno dal guscio allungato, con una leggera punta e l’altro più piccolo e rotondo. Entrambi hanno lo stesso colore chiaro, poco rugoso e con le stesse qualità organolettiche. La parte, della noce, che si mangia si chiama “Gheriglio” e nel caso di quella di Sorrento è bianco, poco oleoso (cosa che facilità una lunga conservazione senza che si perda fragranza e bontà), croccante e tenero, con un retrogusto ed un aroma dalla particolarità unica. Inoltre, a differenza delle altre noci, il gheriglio della Sorrento può essere estratto facilmente senza che si rompa, il che lo rende molto apprezzato dai buon gustai e dall’industria dolciaria che ne fa largo uso. Ma la noce di Sorrento è anche una delle protagoniste, insieme ad altri prodotti tipici del territorio, della cucina della penisola che sta ha conquistato ampi spazi nel panorama gastronomico mediterraneo. Ingrediente di dolci, gelati e semifreddi è entrata di prepotenza anche nei piatti dei ristoranti che propongono rivisitazioni di pietanze tradizionali o che li preparano con impennate di spunti creativi per una clientela attenta alle novità. In questi periodo invece, la noce di Sorrento, è protagonista della notte di San Giovanni diventando prezioso ingrediente dell’infuso che dopo 40giorni sarà pronto per diventare l’orgoglio di un intero territorio.