Albicocche e Vesuvio un gustoso binomio di qualità e bontà

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Albicocca e Vesuvio sono un binomio ormai famoso in tutt’Itala, oltre che sinonimo di grande bontà. Grazie soprattutto allo Slow Food che con anni di iniziative è riuscita a fare uscire dall’oblio un prodotto agricolo apprezzato sin dai tempi dell’antica Roma. Infatti, circa un anno fa nel luglio del 2017, è stato istituito il Presìdio (Slow Food) dell’albicocca del Vesuvio attraverso la collaborazione con Prodos Consorzio di Cooperative Sociali e finanziato da Fondazione con il Sud. Un progetto che ha come scopo la valorizzazione e la promozione del territorio all’interno del Parco Nazionale del Vesuvio. Ma questo è solo l’aspetto istituzionale, il riconoscimento formale di un lungo percorso durato millenni. Perché le crisommole, come le chiamiamo in Campania (dal greco chrisomelos ovvero mele d’oro) hanno origini antichissime. Originario dall’estremo oriente, l’albero di albicocco è stato introdotta in Italia dai romani proveniente dalla regione dell’Armenia e della Grecia. La presenza dell’albicocca nell’area diventata pi Parco Nazionale del Vesuvio è documentata già nel I° secolo d. C. negli scritti di Plinio il Vecchio, anche se le prime testimonianze certe di una coltivazione intensiva nell’area risalgono alla seconda metà del XVI secolo quando Gian Battista Della Porta, scienziato napoletano, le cita nell’opera “Suae Villae Pomarium”. E successivamente nel testo ad opera di autori vari, “Breve ragguaglio dell’Agricoltura e Pastorizia del Regno di Napoli”, del 1845, si riconosce l’albicocco come l’albero più diffuso, dopo il fico, nell’area del napoletano, e precisamente in quella vesuviana, “dove viene meglio che altrove e più maniere se ne contano, differenti nelle frutta” Insomma un destino segnato, quello dell’albicocca vesuviana. Un destino da star grazie al terreno vulcanico della zona. Infatti lungo le pendici del Vesuvio e del monte Somma, dove le pietre vomitate direttamente dalle viscere della terra hanno reso tutto più fertile, con una concentrazione di minerali pari a ben 230 elementi diversi, le albicocche hanno sicuramente un sapore più buono, a tratti unico. E poi tutto quello che madre natura ha messo nelle zolle del Vesuvio lo ritroviamo nelle proprietà del piccolo e vellutato frutto che diventa una miniera di bontà e salute. Vitamina A, B, C, PP, beta-carotene, quello che aiuta nella tintarella, magnesio, fosforo, calcio, zolfo, potassio, ferro e zucchero sono gli elementi che fanno di questo piccolo dolce, ma con solo 26chilo calorie per cento grammi di prodotto, il più invitante dei frutti del periodo estivo. Una vera tentazione che all’ombra del Vesuvio si è guadagnata la giusta fama con le sue decine di varietà: “Pellichiella”, “Boccuccia liscia” , “Boccuccia spinosa”, “Cafona”, “Ceccona”, “Portici”. Ed  oggi, con la sua pezzatura medio piccola, il profumo intenso, la polpa zuccherina, la buccia giallo arancio con punteggiature in rosso, aspira al marchio di tutela Igp, anche perché l’albicocca che si produce nei comuni vesuviani costituisce l’ottanta per cento della produzione campana che per estensione e quantità è la prima regione d’Italia. In cucina le conosciamo esclusivamente come frutta fresca, confettura, sciroppata o secche; ma prende sempre più piede il suo uso nella preparazione di gelati. E’ in pasticceria, però, che vive il suo trionfo e prestandosi a molte preparazioni. Viene impiegata  per la confezione di torte, crostate charlotte, paste da dessert, pasticcini mignon e tartellette. La confettura, poi, tra le più diffuse e conosciute sul mercato, spesso diventa farcitura di brioche e croissant o prezioso ingrediente di dolci come quello proposto nella pagina della ricetta.