Successo di pubblico per il primo appuntamento di “Musica e politica nel Novecento”, un itinerario di ascolti, letture e dibattiti a cura del professore di Storia delle dottrine politiche, Alessandro Arienzo e del musicista, nonché allievo della facoltà di Filosofia, Enrico del Gaudio. Appuntamento nell’edificio di via Porta di massa (i primi tre incontri in aula Franchini (DSU) dalle 15 alle 18, gli altri in aula A3). Il primo incontro dedicato al blues ha visto la partecipazione di Francesco Sansalone, chitarrista e cantautore. Al prossimo parteciperanno, invece, Gianni D’Argenzio (Sax) e Pericle Odierna (fiati), quindi Daniele Sepe, Massimo Jovine dei “99 Posse”, Lino Vairetti degli “Osanna”; ma altri si stanno aggregando, in maniera più o meno informale, così come ci saranno altri docenti del Dipartimento che daranno un loro contributo. Si prevede anche l’assegnazione di punti di credito per gli studenti di triennale e magistrale. (locandina di fianco, clicca per ingrandire)
Quando un’università sceglie di non essere solo un’ “accademia del Libro” e integra approcci multidisciplinari che s’incontrano e s’intrecciano, non attua solo un sacrosanto principio di pedagogia, ma si fa portatrice di una tensione moderna. Così da scoprire che la multidisciplinarità è già insita nella stesse materie:-“ Il rapporto tra la filosofia e la musica è antichissimo. La musica è una delle principali forme di espressione dell’uomo ed è, peraltro, un linguaggio che ha una capacità di mettere in relazione persone e culture anche molto diverse con una immediatezza che la parola e la scrittura non hanno. La musica ci parla quindi dell’uomo e del suo rapporto con se stesso e col mondo. Ogni fenomeno musicale si colloca nella cultura del suo tempo, dialoga con essa e ne lascia emergere aspetti che, talvolta, la riflessione teorica coglie solo molto dopo. Io mi occupo di politica e di storia del pensiero politico, e da decenni ormai in questo settore di studio non si indagano solo documenti ufficiali o trattati scientifici ma anche le forme diverse di rappresentazione e espressione politica: dalla pittura alla scultura, dal teatro alla musica. In generale arte e politica hanno sempre avuto un rapporto strettissimo.”- sostiene il prof. Alessandro Arienzo.
Le tematiche del programma prendono come riferimento tutta la musica cosiddetta “popolare”: una provocazione verso coloro che fanno oggetto di “studio accademico” solo la musica “colta”? “Semplicemente siamo partiti da ciò che conosciamo meglio. Peraltro, né io né Enrico siamo propriamente degli studiosi di storia della musica o di filosofia della musica e non volevamo avventurarci in ambiti nei quali non abbiamo competenze. E in generale il nostro approccio è comunque più modesto, fondato sull’esigenza di condividere un pezzo della storia dell’Ottocento e Novecento – attraverso la musica – che ci sembra ancora oggi attualissimo: lo schiavismo e l’apartheid, il ’68 e i movimenti politici e giovanili degli anni ’70, infine le trasformazioni radicali nella politica e nella musica dopo il 1989. C’è anche da dire, a onor del vero, che oggi nessun musicologo serio, nessun “accademico” guarda più con sufficienza la musica o la cultura popolare. Basti vedere l’attenzione che proprio il Diparti
mento di Studi Umanistici dedica alla cultura popolare napoletana, nel teatro, nella musica, nelle arti figurative e lo sforzo che abbiamo fatto con l’istituzione della nuova Laurea Magistrale in Discipline della Musica e dello Spettacolo.”
Seguendo la prospettiva multidisciplinare, diventa complementare il fatto che, come spiega Arienzo, gli incontri sono aperti a tutti:-“ Non sono dedicati solo agli studenti di filosofia, ma a tutti coloro i quali vogliono ascoltare e discutere di musica e politica. Anche suggerendo a noi organizzatori ascolti e approfondimenti. Del resto, il rapporto con la musica, come quello con la politica, è sempre molto personale.” E così, questa rassegna non è un discorso in cattedra:-“ Abbiamo deciso di fermarci a raccontare la musica degli anni ’90 perché sia io che Enrico abbiamo vissuto in prima persona quanto è accaduto nei decenni che vanno dalla fine degli anni ’70 alla fine degli anni ’90 e questo ci ha dato una modalità di interpretare i rapporti tra musica e politica condivisa. Quello che è successo dopo – e che accade oggi – vorremmo ce lo raccontassero gli attuali studenti, i più giovani. Uno degli obiettivi del nostro seminario è farci raccontare dai nostri studenti e dai partecipanti quali sono oggi le nuove forme di espressione in musica della politica: questo ci aiuterà a capire non solo cosa è oggi la musica “impegnata”, ma anche, e in maniera più radicale, cosa è oggi la politica stessa, come si esprime, quali istanze rappresenta quando incontra la musica e le nuove culture giovanili.”
Il successo di affluenza dovrebbe essere un indizio per l’Ateneo e uno sprone per il futuro:-“ È un segnale di vivacità e interesse. Mi piace sottolineare il fatto che in questo seminario tanti partecipanti non venivano dall’università, non erano studenti. Io credo che su questo si potrebbe fare di più, aprire l’università ulteriormente facendo sì che le nostre attività culturali possano parlare anche a non studenti, non specialisti. Insomma, recuperare un ruolo di promozione e sperimentazione culturale che non può che passare per l’apertura delle nostre lezioni, dei nostri seminari.”