Marlborough Chardonnay, Cloudy Bay, 2007
Ci troviamo in Nuova Zelanda, più precisamente nella parte settentrionale dell’isola del sud dell’arcipelago neozelandese.
Qui nella regione del Marlborough, a ridosso della Cloudy Bay, è partita l’avventura di David Hohnen nel1985.
Mr Hohnen, tra i pionieri in zona, era fortemente convinto delle grandi potenzialità di quelle terre al punto di scommettervi a colpo sicuro, acquistando quelle che per lui erano le zone più vocate: tra Marlborough e la Central Otago.
David scelse per l’Azienda il nome della baia antistante, Cloudy Bay, che a sua volta deve il nome ad un esploratore britannico di nome James Cook.
La storia narra che Capitan Cook giunse nell’arcipelago nel 1770, poco dopo un inondazione che aveva colpito le regioni dell’isola meridionale. Il gran numero di detriti finiti in mare rendevano opaco lo specchio d’acqua della baia, motivo per cui Cook la battezzò col nome di Cloudy Bay.
Dalla metà degli anni ’80, grazie allo spirito pionieristico e visionario del fondatore, l’Azienda ha volutamente rincorso obbiettivi sempre più ambiziosi: fino a divenire uno dei punti di riferimento assoluto.
Ai giorni d’oggi lo staff di Cloudy Bay è capitanato dall’enologo Tim Heath, in forza dal 2005, che ha portato con se un grande bagaglio di esperienze personali e professionali, maturato nell’Australia del sud (Barossa e Clare Valley) ed in Francia (nella Valle del Rodano).
Il braccio destro di Tim è Jim White, agronomo ed appassionato dalle costanti sfide: per lui ogni singola annata, con le sue diversità, è motivo di grande studio e di scelte ben precise per cercare di interpretarla al meglio.
La filosofia che muove Cloudy Bay segue una linea ben precisa, che può essere sintetizzata con un unico termine: sostenibilità!
L’Azienda è infatti stata tra le fondatrici del movimento enosostenibile neozelandese.
Nel periodo invernale, in cui la vite è dormiente, vengono concimate organicamente le vigne cospargendo del compost ottenuto dalle vinacce e facendo pascolare greggi di pecore che, a loro volta, ripulicono i filari dalle erbe infestanti.
Dalla primavera sino alla vendemmia, invece, tra i filari vengono coltivati grano e leguminose poi sflaciati per favorire il ciclo dell’azoto.
Grande attenzione è stata posta anche all’efficienza energetica della cantina stessa, al trattamento di depurazione delle acque reflue (riutilizzate per le colture nei campi e l’irrigazione di supporto in vigna), all’ampio utilizzo di materiali riclicati (dalle bottiglie a tutto il packaging) ed all’uso di macchinari elettrici che sfruttano l’energia ottenuta da fonti rinnovabili (idroelettrica in primis).
Ho avuto la fortuna di poter assaggiare un bianco aziendale, ottenuto da Chardonnay, e di poter fare al contempo un salto indietro nel tempo di 9 annate fino alla 2007. Le uve, rigorosamente selezionate e raccolte a mano, provengono da 7 vigneti di 4 zone diverse della regione: Brancott, Fairhall, Ben Morven e la Wairau Valley.
La raccolta, secondo annata, avviene solitamente tra la fine di Marzo e la metà di Aprile. Una volta giunte in cantina le uve vengono diraspate e pressate sofficemente. Il mosto fermenta in barriques di rovere francese, dove il vino resta a maturare per 12 mesi prima dell’imbottigliamento.
La tappatura? Rigorosamente con lo Stelvin Screwcap: Cloudy Bay è inaffti una delle aziende partner del marchio Stelvin. Da subito ha aderito e collaborato allo sviluppo del progetto della Australian Consolidated Industries Ltd nato nel 1970, quando hanno acquistato i diritti di produzione dello Stelcap-vin: un primo esperimento di tappatura alternativa al sughero condotto dalla ditta francese La Bouchage Mecanique nel1959.
Calice alla mano ho avuto modo di apprezzarlo fin dalle prime battute per la sua vivida veste dorata dai bagliori giovanili. Al naso è un’esplosione di note minerali e terziarie in primis: iodio, gesso, resina ed idrocarburi. In seguito ad una maggiore ossigenazione il quadro olfattivo si arrichisce di profumi che ricordano gli agrumi canditi e la frutta esotica matura, toni fumè ed una nota di fondo che ricorda i biscotti di pasta frolla.
Il sorso è d’impatto, ha struttura, avvolgente e sorretto da una buona freschezza ed una grande sapidità. Chiude con rimandi affumicati e terziari.
Per apprezzarlo al meglio bisognerebbe stapparlo con almeno un’ora di anticipo (o scaraffato in una brocca affusolata) e servirlo in un ampio calice ad una temperatura che idealmente dovrebbe oscillare tra i 12 ed i 14°C.
Personalmente ritengo che possa essere il compagno ideale di qualche ardita preparazione a base di Salmone, purchè non si tratti di semplice pasta. Rubrica a cura di Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina.