“I Vini di Indovino”: Il sommelier recensisce lo storico bianco irpino

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Fiano di Avellino DOCG, Campore, Terredora Di Paolo, 2002
Ci troviamo in terra irpina, qui dove la storia dell’uomo è intimamente legata a quella della vite e dei vini che ne derivano. Nel secondo dopoguerra Walter Mastroberardino, con tenacia ed orgoglio, da qui partiva alla volta delle più grandi città italiane per far conoscere i vini che produceva insieme al fratello Antonio nell’azienda di famiglia. Vini unici perchè frutto di varietà tramandate nei millenni, risalenti all’epoca ellenica, e da loro (W. & A.) recuperate e rilanciate.  
Nel 1994 si chiude questo capitolo della vita di Walter che, per una visione differente del futuro, una diversa visione imprenditoriale, si separa dal fratello lasciando a lui la cantina ed il marchio e tenendo per se quelle vigne acquistate nel 1978 e di cui si era fatto portavoce per anni.
È così che a sessant’anni, quando altri al suo posto avrebbero preferito ritirarsi a vita privata, lui decise di intraprendere un nuovo percorso: forte del sostegno e della man forte dei figli Daniela, Lucio e Paolo, nonchè della moglie, Dora Di Paolo. La passione per la coltivazione della vite è il cardine, il movente, il motivo di continuità. È parte integrante del DNA di una famiglia che lega profondamente le sue radici a quelle del vino in un intreccio che risale al 1700 e che, nel secondo dopoguerra, anzichè abbandonare le proprie terre in controtendenza vi ha creduto ed investito nuovamente.
Si decise, quindi, di costruire una nuova cantina dove vinificare le proprie uve e completare il ciclo produttivo. L’ambizione era, e lo è tutt’oggi, quella di produrre grandi vini con la consapevolezza che solo il controllo diretto di tutti i processi produttivi può assicurare quella qualità globale che ne è all’origine.
La scelta cadde su Montefusco per un duplice motivo: pratico (perchè era il fulcro intorno al quale erano dislocate tutte le vigne) e storico (perchè un tempo era il capoluogo del Principato Ultra, una divisione amministrativa dapprima del Regno di Napoli ed in seguito del Regno delle Due Sicilie). La nuova avventura iniziò sotto il nome dell’ A.A. Vignadora di Paolo, Lucio & Daniela Mastroberardino ma, nel1997, Walter decise di cambiare il nome dell’azienda per presentarsi sul mercato con un’identità propria, e non col cognome di famiglia, dall’indubbia storia e tradizione: Terredora di Paolo, in onore della moglie, in onore di quella donna silenziosa, ma al tempo stesso presente ed operosa.
Parlare di Terredora significa parlare di una famiglia unita che si è rimboccata le maniche e che ha costruito il suo successo negli anni. Lucio, poco più che ventenne da subito si è occupato dell’aspetto enologico, strizzando un occhio all’export grazie anche al suo dinamismo. Paolo, anch’egli enologo, si è occupato della rete commerciale. Daniela, oltre al ruolo amministrativo, ha iniziato a curare le public relations. Ed infine Walter, temerario ed uomo immagine come sempre….
Poste le basi organizzative, si è puntato immediatamente al fattore di unicità ampelografica e morfologica racchiusa nel territorio irpino. Concetti imprescindibili da avvalorare soprattutto con un attento e costante allevamento delle vigne in equilibrio con l’ecosistema circostante: un approccio biodinamico per credo, e non per marketing.
Anno dopo anno, oltre alla vinificazione in purezza delle diverse varietà d’uva, ci si è spinti alla selezione ed alla diversificazione tra le vigne. Un concetto simile a quello di “cru” utilizzato in Francia, ed avallato dalla effettiva diversità nei suoli e nelle esposizioni: differenze che inevitabilmente si traducono in vini che parlano dei loro diversi territori di provenienza. Una continua ricerca della perfezione, una sfida contro se stessi in primis condotta direttamente su due campi di gioco: 200ha di vigne e la cantina!
Dagli inizi, ovvero dalla ripartenza sotto un profilo diverso, sono trascorsi poco più di 20 anni: un lasso breve, ma sufficiente a raggiungere importanti traguardi e riconoscimenti. Secondo Wine Spectator Terredora nel 2004 è stata Uno dei 50 Grandi Produttori del Mondo che ogni Appassionato di Vino dovrebbe Conoscere e, nel triennio 2006-07-08, almeno un suo vino si è classificato tra i Migliori 100 al Mondo.  Nel 2006 Lucio è stato nominato Miglior Produttore di Vini Bianchi nel Mondo all’ International Wine Challenge di Londra. Sempre Lucio, dapprima Vicepresidente di Unione Italiana Vini dal 2004, ne è divenuto poi Presidente nel 2010.
Una escalation notevole nella quale oggi si vuole credere ancora, nonostante la triste scomparsa di Lucio nel 2013. Paolo da allora si è fatto carico del suo ruolo in cantina, curando quindi l’aspetto enologico, Daniela invece ha assunto in controllo del mercato estero: il tutto nel pieno rispetto e nella continuità di idee secondo il modus operandi di Lucio!
Quest’oggi ho avuto la fortuna di degustare una vecchia annata del Fiano di Avellino Campore, la 2002.
Ve ne parlo con grande orgoglio perchè io stesso credo nelle grandi potenzialità e dell’unicità della regione in cui vino. Il Campore è ottenuto da Fiano in purezza, allevato e raccolto nella vigna di Lapio. È frutto di una vendemmia tardiva che avviene solitamente a fine Ottobre. Le uve, dopo una attenta selezione, vengono vinificate per 1/3 in acciaio per poi completare la fermentazione in tonneax. Il vino resta a maurare in legno per 5/6 mesi circa, a contatto con le fecce fini, cui segue un affinamento minimo in borriglia di ulteriori 6 mesi prima della commercializzazione.
Nel calice si presenta con una vivida e consistente veste dai bagliori dorati. Al naso da subito regala un notevole e variegato bagaglio di profumi. Prime su tutte la nota affumicata di nocciole tostate, ed i sentori di resina di pino e muschio. In seconda istanza emergono le note di ananas e zenzero candito, seguite da profumi che ricordano le pesche sciroppate. Il sorso è pieno, avvolgente ed ancora caratterizzato da una buona freschezza e sapidità.
Lunga e coerente la chiusura di bocca, in cui si ripetono principalmente il timbro fumè e quello balsamico.
Questo Campore 2002 è uno di quei vini che andrebbero stappati con qualche oretta di anticipo, di cui si può sicuramente apprezzare l’escalation in un ampio calice, sorso dopo sorso, a patto che non si scenda mai al di sotto dei 12°C. Col senno di poi, dopo averlo bevuto, penso che ci siano 2 scenari possibili: meditarci su in buona compagnia o addirittura azzardare l’abbinamento con un piatto di Tagliolini al Tartufo…..quello bianco ovviamente. A voi la scelta!
Rubrica a cura di Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina.