Una vita vissuta a pane e calcio. Un sogno inseguito senza mai arrendersi (nemmeno oggi). Una passione tenuta viva giorno dopo giorno. La storia di Giovanni D’Apice, detto Ciro, è una di quelle che segnano e insegnano. Cinquanta anni di calcio vissuti nelle categorie inferiori su più di duemila campi di periferia. Parlare di calcio (ed anche di vita) con Giovanni, detto Ciro, è come andare sulle montagne russe. Sali lentamente su un sogno, poi precipiti velocemente su una storia, e scendi ancora velocemente su sensazioni ed emozioni di quei ricordi che restano ancora vivi. Giovanni detto Ciro trascrive i suoi ricordi su carta (in basso nell’articolo puoi leggere tutta la sua storia) e ce li racconta con il sorriso di chi, dopo anni e anni, è sempre soddisfatto e fiero di se come se fosse il primo giorno. Racconta lo sport nudo e crudo, privo di ogni genere di “inquinamento”. Il calcio, insomma, è stato la sua vita. Un amore incontrollabile che, nonostante tutto, nel corso del tempo, non si è mai affievolito. “I miei ricordi partono da quando avevo sette anni e come per tutti i bambini della mia età il mio primo “terreno di gioco” era il marciapiedi davanti casa – si legge nel ssuo documento/memoria -, passavamo giornate intere dando calci ad un pallone con la spensieratezza e la voglia di divertirci fino allo sfinimento. Era l’inizio degli anni 50 e vivevo con la mia famiglia in via Plinio a Pompei, ricordo che i miei compagni di gioco si chiamavano Mirante, Palomba, ed i fratelli Langella. Purtroppo la vita si mostrò subito ai nostri” . Giovanni D’Apice è la dimostrazione che il calcio scorre nelle vene anche a 70 anni. E lui, Giovanni detto “Ciro”, non si ferma. Di amore per il calcio ci ha vissuto, ed è anche disposto a morirci. “Nel 1963, dopo alcuni provini, andai a giocare nelle giovanili del Savoia squadra storica di Torre Annunziata che nei primi anni 20 ha addirittura sfiorato la vincita dello scudetto perdendo in finale contro il Genova, con me giocarono D’Avino, Russo ed il portiere Vietri. Ricordo avvincenti partite contro il Fregrea, la Salernitana, l’Acerrana, il Cavanese ed il Pompei in cui giocavano Sorrentino, Di Palma e Palladino padre dei famosi fratelli che calcano i campi di serie A”. La famiglia di Giovanni, detto Ciro, ha deciso di festeggiare il suo 70esimo compleanno, di sabato scorso, in un modo del tutto singolare. Uno di quei regali inattesi, e forse dei più belli per Giovanni, detto Ciro. Una partita del cuore in suo onore. A riunirsi nella partita che si è svolta sabato scorso è stata tutta la famiglia. Nipoti, figli e cugini provenienti da ogni parte d’Italia per disputare una partita in suo onore. Lui, Giovanni detto Ciro, ovviamente, era in campo. “A 70 anni mi sento ancora competitivo anche quando mi confronto con giocatori che hanno quarant’anni meno di me e questo è il mio segreto”. Presenti in tanti al match del cuore per Giovanni detto Ciro. Tanta emozione, lacrime di gioia e abbracci infiniti. I ricordi di Giovanni detto Ciro sono rimbalzati da una parte all’altra per circa un’ora, quando quella palla, sabato scorso, sul quel manto verde rotolava da una parte all’altra. “Le ultime righe di queste pagine voglio dedicarle a chi mi ha permesso di avere tanto tempo libero da dedicare al calcio, i mie suoceri Carmine e Giannina che si sono occupati dei miei figli sin da piccoli. L’ultimo sincero pensiero va a mia moglie Maria che in questi anni mi è stata sempre vicina e non ha mai frenato la mia “passione” a lei che non ho mai ringraziato abbastanza voglio dedicarle due semplici parole. Ti Amo”. Chiude così il suo documento/memoria Giovanni detto Ciro. Una storia d’amore per la famiglia e per lo sport. Una vita spesa a rincorrere una palla su oltre 2 mila campi, senza mai arrendersi. Giovanni detto Ciro coltiva ancora la sua passione a 70 anni. Un esempio di come quella passione per il calcio possa riscaldare anche i momenti più freddi e bui di una vita vissuta tra soddisfazioni e sacrifici. Forse ce ne vorrebbero di più di “Giovanni detto Ciro” nel calcio, e nello sport in generale.
Di seguito puoi legggere il documento/memoria di Giovanni D’Apice.
“Un Calcio ad un pallone, una vita da Campione”
Storia di una vita trascorsa su duemila campi
di Giovanni (Ciro) D’Apice.
In queste pagine racconterò i miei cinquant’anni da calciatore di categorie inferiori vissuti su più di duemila campi di periferia.
I miei ricordi partono da quando avevo sette anni e come per tutti i bambini della mia età il mio primo “terreno di gioco” era il marciapiedi davanti casa, passavamo giornate intere dando calci ad un pallone con la spensieratezza e la voglia di divertirci fino allo sfinimento. Era l’inizio degli anni 50 e vivevo con la mia famiglia in via Plinio a Pompei, ricordo che i miei compagni di gioco si chiamavano Mirante, Palomba, ed i fratelli Langella. Purtroppo la vita si mostrò subito ai nostri occhi come crudele ed imprevedibile con un evento che mi ha segnato per molti anni avvenire, infatti, Antonio proprio mentre recuperava la palla fù investito da un’auto e morì. Quando avevo dieci anni cominciai a giocare come portiere, questa volta il campo di gioco era il piazzale dove abitavano le famiglie Amitrano e Napolitano. I compagni dell’epoca erano Ametrano, Giugliano, Balzano e i fratelliTrotta. Ricordo che non a tutti faceva piacere che giocassimo in quel posto in particolar modo a zio Ernesto il quale aspettava che il pallone cadesse nel suo terreno per prendercelo e tagliarlo in due. Quando ciò accadeva era un vero problema perché il pallone costava trenta lire che per noi erano tanti soldi. Giocai in porta fino all’età di dodici anni, ricordo che ero considerato da tutti molto bravo tanto da essere soprannominato “Bucatti” (portiere del Napoli dell’epoca), feci anche dei provini con alcune squadre importanti ma ero troppo basso e non adatto a quel ruolo, non mi arresi a quelle prime delusioni e cominciai a giocare in attacco. Era il 1959 ed all’età di tredici anni indossai la mia prima maglia da calciatore, la ricordo ancora era di colore verde ed aveva il numero 5, per comprarla dovetti andare in bici da Salvatore Atripaldi che aveva un negozio di abbigliamento. Oggi uno dei figli di Salvatore gioca con me nel torneo amatoriale di Scafati ed è soprannominato “Peppe Careca”. I miei amici di quel tempo erano i fratelli Cipriani, Sansone, Paduano ed altri. Il “Campo” di gioco era in via Cipriani ma in realtà si trattava di una grande vasca per la raccolta delle acque e la potevamo usare solo quando era asciutta. A quattordici anni incominciai a giocare nei campionati organizzati dai “Salesiani” a Torre Annunziata con nuovi compagni, D’Avino, Russo,Vietri,Cirillo e Izzo chiamato Omar Sivori perché nessuno riusciva a togliergli il pallone dai piedi. In quel periodo per allenarci usavamo una cantina. Il secondo anno di gioco ai Salesiani misi a segno 19 reti vincendo la classifica marcatori e conservo tuttora il diploma che mi fu assegnato all’epoca. Nel 1963, dopo alcuni provini, andai a giocare nelle giovanili del Savoia squadra storica di Torre Annunziata che nei primi anni 20 ha addirittura sfiorato la vincita dello scudetto perdendo in finale contro il Genova, con me giocarono D’Avino, Russo ed il portiere Vietri. Ricordo avvincenti partite contro il Fregrea, la Salernitana, l’Acerrana, il Cavanese ed il Pompei in cui giocavano Sorrentino, Di Palma e Palladino padre dei famosi fratelli che calcano i campi di serie A. L’anno seguente giocai negli allievi del Trecase di cui seguivo anche la prima squadra per imparare i “trucchi del mestiere”, mi piaceva molto Liguori chiamato “lo sfaldista” perché quando partiva non c’è nera per nessuno. Feci un ottimo campionato segnando ad ogni partita,le reti più belle segnate proprio al Savoia ed al Cesareo. Ricordo di quel campionato un memorabile derby con la squadra del San Gennaro nostra storica rivale che finì 2-2. AL termine della partita in cui misi a segno una doppietta l’arbitro fu costretto a scappare perché i locali non accettavano il risultato. Purtroppo tante volte nei campionati inferiori ho assistito a scene di violenza ma fin da giovane mi hanno insegnato la lealtà sportiva che significa saper accettare il verdetto del campo, la stessa lealtà ho cercato di trasmetterla ai miei figli ed ai giocatori delle mie squadre. Nel 1965 feci un provino con la Juve Stabia, andò bene e mi presero. Ricordo con affetto i miei compagni Pagura, Coppola, Monti, Palumbo e Della Vedova ed il Mister Lucentini che pretendeva da noi sempre il massimo impegno in partita ed in allenamento. Giocavo nella seconda squadra con il ruolo di ala destra, ero molto veloce e mi mettevo in mostra quando ci allenavamo con la prima squadra. Il debutto con loro non si fece attendere ma fu uina partita durissima con la Scafatese in cui nonostante avessi giocato bene mi infortunai al piede destro e fui costretto a restare lontano da campi di gioco per alcuni mesi. Gli anni volavano via ed a 19 anno partii per fare il militare. Dopo i primi due mesi di addestramento a Palermo, durante i quali trovavo comunque il modo di allenarmi, ebbi il trasferimento a Rimini. Fui fortunato perché il Capitano della mia compagnia era un appassionato di calcio e mi fece allenare con il Bellaria squadra che militava in serie D e con cui firmai il cartellino giocando per l’intero campionato. Feci tanti gol e fui soprannominato “doppio passo” per la mia giocata speciale che lasciava sul posto gli avversari. In un’amichevole contro il Rimini segnai una rete bellissima, ebbi la proposta di rimanere e giocare in serie “C”. Ho pensato in quel periodo anche di rimanere sotto le armi e già avevo i gradi di Caporal Maggiore e successivamente sarei passato Sergente e contemporaneamente avrei giocato nel Rimini. Sembrava che i miei sogni si potessero avverare. Mancavano tre mesi al congedo ed un giorno mio padre, che si trovava a passare da Rimini per lavoro con il suo autocarro, si fermò per salutarmi. Erano mesi che non lo vedevo e ci abbracciammo a lungo. Mi parlò della difficile situazione economica dovuta anche alla inefficienza degli autisti e mi chiese di ritornare a casa perché aveva bisogno del mio aiuto. Ci salutammo ed entrambi avevamo le lacrime negli occhi, non avrei mai potuto deludere mio padre anche se mi costava parecchio. Purtroppo non avrei mai potuto immaginare che quella era l’ultima volta che lo avrei visto vivo. Il giorno del congedo fu una festa per tutti e così come fecero tanti miei compagni d’armi presi il treno per tornare a Napoli e poi un autobus che mi portava a Torre. Volevo fare una sorpresa a mio padre che a quell’ora era solito giocare a carte al bar “Tazza d’Oro” ma quando mi apprestavo a scendere mio cugino che era venuto alla Stazione mi disse che era meglio passare prima da casa. Quando arrivai nella stradina di casa mi corse in contro la mia fidanzata dicendomi che mio padre stava male ma in realtà era già morto ed ebbi appena il tempo di togliermi l’uniforme perché dovevo partecipare alla cerimonia funebre. Questo giorno mi ha segnato per tutta la vita ed ogni tanto ci ripenso ed il mio cuore si riempie di tristezza. Era il 22 aprile 1968 quando mio padre morì ed io dal giorno dopo mi misi subito a lavorare perché la mia famiglia aveva bisogno di me. Dopo un po ripresi a giocare nelle categorie inferiori stando attendo a non trascurare il lavoro di camionista molto duro ma necessario per le nostre esigenze. La mia passione per il calcio era troppo forte. Firmai per la società “La Rondinella” di Pompei ed il presidente Peppe Manzo diventò per me un fratello. Ricordo che aveva l’abitudine la sera prima della partita in casa di ripulire i palloni e di colorarli così da farli sembrare sempre nuovi la domenica. Dopo tanti anni quando ho fatto io il presidente ed avevo la mia squadra ho rifatto la stessa cosa. Ho giocato con la Rondinella per quattro anni in seconda categoria e ricordo con piacere il portiere Panella,Vincenzo Guarro, Gennaro Giordano e Pagano. Un giorno fui chiamato dal Presidente insieme a Panella ed a Pagano e ci avvisò che aveva ricevuto un’offerta di 1 milione per il trasferimento di noi tre dall’Oplonti di Torre Annunziata. Capimmo che quei soldi lo avrebbero aiutato a mandare avanti la famiglia con tre figlie e la squadra quindi accettammo. Era anche un modo per ringraziarlo dei sacrifici che aveva fatto per noi. Rimasi a Torre per due anni. Il secondo anno vincemmo il Campionato e salimmo in Prima Categoria. Feci molti gol aiutato da due mezze ali fortissime come Salvatore Caraviello e Merluzz, l’altra punta era Sabatino Malafronte zio di Carmine Malafronte ricordato poi come l’uomo dei mille gol. Nel 1976 accettai di tornare alla Rondinella di Pompei anche perché lavoravo in zona e spesso avevo la tutta sotto gli abiti da lavoro ed appena finito mi recavo al campo di allenamento con il mio camion. Rimasi a Pompei per due anni, ricordo quasi tutti i componenti della squadra Tucci,Scala Sicignano, Manzo, Ferraiolo, inoltre mi avevano seguito Panella e Guarro. Dopo un anno trionfale vincemmo il campionato salendo in Prima Categoria. L’anno seguente disputammo un buon campionato riuscendo a non retrocedere, giocammo ottime partite ed in quelle decisive le ultime io e Tucci segnammo parecchi gol. Putroppo quello fu l’ultimo anno della gloriosa “Rondinella” di Pompei che scomparve perché nessun imprenditore voleva investire nel calcio ed aiutare il Presidente Manzo. Nel 1978 all’età di 34 anni ebbi la proposta da Gennaro Vitiello di giocare in seconda categoria sempre a Pompei. Furono due anni di tante vittorie e divertimento perché avevamo una squadra fortissima, il portire era l’insuperabile Antonio Mauriello in difesa c’era “la roccia” Mimmo Troianiello ed ancora Miranda, Imperatore e Varone. Il bomber per eccellenza era Saverio Scisciola con il quale mi trovavo alla perfezione confezionandogli assist che puntualmente lui trasformava in rete. Ricordo una partita giocata contro una squadra che lottava per vincere il campionato, il bomber Scisciola segnò una doppietta e fu ammonito dall’arbitro perché esulto in modo tale da poter istigare il pubblico, ricordo che il direttore di gara era il figlio di un ispettore di Polizia. Il rigorista della squadra ero io e nonostante le situazioni ambientali spesso non erano delle migliori riuscivo a mantenere sempre la concentrazione sbagliando poche volte. Ricordo un gol bellissimo segnato a Boscoreale contro il Boscotrecase, misi la palla in rete su un pallone lanciatomi dal mio portiere grazie alla mia velocità sulla fascia e ad un “doppio passo” che lasciò fermo il mio marcatore. Nell’anno 1980 Gennaro Vitiello mi disse che era stato contattato da una società di seconda categoria del girone di Salerno che si chiamava Vietri Raito ed il Presidente proprietario del famoso Hotel “Raito” gli voleva affidare la conduzione della squadra, mi chiese di aiutarlo ed insieme ai miei compagni Coppola, Dati, Orsini, Troianiello, Visciano, Giordano, Edgardo ed il portiere Pinto giocammo un campionato ad altissimi livelli, ricordo che spesso all’Hotel si fermavano squadre di serie A per alloggiare prima delle partite. Ogni anno a fine campionato giocavo il torneo “città di Pompei” che annoverava sempre squadre fortissime ed un folto pubblico che sugli spalti non si vedeva spesso grazie alla rivalità tra i rioni. Giocavo nella squadra “Via Piave” insieme ad i cugini Nunzio e Lello Matrone. Ricordo che le partite erano vere e proprie battaglie e riuscimmo a vincere diversi tornei grazie ai gol di Lello ed ai miei assist. Nell’anno 1982 quando ormai non c’era quasi più nessuno che volesse impegnarsi per il calcio a Pompei, l’avvocato Giovanni Palmieri chiese la mia disponibilità ed insieme fondammo la “Virtus Pompei” partendo dal campionato di terza categoria. Oltre alla vecchia guardia giocarono con noi gli attaccanti Lanzieri e Centonze ed il mister era il bravissimo Umberto Ruoto. Dopo tre anni per motivi economici cedemmo la squadra ai fratelli Del Gaudio che allestirono una società in grande stile partecipando e vincendo il Campionato di promozione e giocando quindi l’anno successivo in Eccellenza. Ma la favola durò solo due anni perché anche questi ultimi cedettero la squadra. Nel 1987 all’età di quarant’anni, fui chiamato dalla squadra del Rovigliano, ricordo il mister Antonio Solla ed i miei compagni Trombetta, Veropalumbo, Russo, Scarpa e Candeloro. Rimasi tre anni in un ambiente bellissimo e nel girone di Salerno affrontavamo squadre sempre molto corrette. Nel 1990 mentre partecipavo ad un torneo in via Nolana, ebbi una proposta ancora da Gennaro Vitiello e dal mister Angelo Mammì, famoso centravanti di serie A che con una sua rete aveva battuto il record di imbattibilità di Dino Zoff che difendeva la porta della Juventus. Ripartii con lo stesso spirito di ragazzino che mi ha sempre accompagnato nelle varie esperienze calcistiche vissute, inoltre oltre alla prima squadra riuscimmo ad organizzare una scuola calcio sia maschile che femminile che vide la partecipazione di moltissimi giovani e con orgoglio vidi i miei figli unirsi a me in questa nuova esperienza. Anna la più grande oltre ad essere la mia prima tifosa, non perdeva infatti nessuna nostra partita arrivando a litigare con la tifoseria della squadra rivale, giocava anche nella selezione femminile nel ruolo di portiere, era molto promettente e contavo di inserirla nelle fila della Juve Stabia ma ebbe un infortunio di gioco e si ruppe un dito. Giocammo due campionati di terza categoria e spesso giocavano con mia grande soddisfazione anche i miei figli Ciro e Carmine in quel periodo svolgevo il doppio ruolo di allenatore e giocatore venendo coadiuvato da Mimmo Longobardi vero amico e fratello che per la squadra dava l’anima. I giocatori erano quasi tutti giovani, ricordo il portiere Sabatino Tessitore e gli altri giocatori, Lauretano, mio nipote Luigi Esposito, Sperandeo, De Caro, i fratelli Langella, i fratelli Palumbo ed i bomber Gentile e Manlio Longobardi. Dopo due anni di puro divertimento lasciammo il campionato federale ma con la stessa compagine partecipammo a numerosi tornei locali collezionando tante vittorie. Ricordo in particolare la partecipazione al torneo U.I.S.P. di Napoli, con me c’erano Bartolo Martire, Franco Cirillo, Peppe D’Aniele ed il portiere Ciccio Panella che incantava il pubblico napoletano con le sue grandi parate. Una domenica particolarmente piovosa e nebbiosa partimmo per giocare una partita decisiva contro la prima in classifica senza di lui perché era impegnato. Ma con nostra meraviglia lo trovammo al campo prima di noi e grazie ad una sua mirabile prestazione ed un gol stupendo di Martire che superò sei avversari vincemmo la partita e poi il Campionato. L’anno dopo con gli stessi giocatori e mio figlio Ciro in porta, vincemmo quasi tutte le partite, ricordo la finale con L’Imperiale, stavamo perdendo 3-0 con due espulsi, nei minuti finali mio nipote Luigi mise a segno una tripletta ed una volta ai rigori vincemmo con l’ultimo segnato da me. Nel 1998 all’età di 51 anni ebbi ancora una grande soddisfazione. Il presidente del Pompei Calcio, Bruno Adami, mi propose di giuocare con la sua squadra in Terza Categoria, mi ritrovai in mezzo a tanti giovani. Fu un bellissimo campionato, incontravo vecchi avversari su campi di tante battaglie passate come Brusciano, Liveri e Cicciano. Purtroppo il progetto non andò avanti negli anni seguenti perché il presidente era lasciato solo dalla Autorità locali che non gli garantivano alcun appoggio economico e di infrastrutture. Lo stesso anno, mi trovavo per caso in Via Casone a Pompei e mi fermai a vedere una partita di calcio presso il locale campo sportivo tra l’Antoniana ed il Flocco di Poggiomarino. A fine partita conobbi il presidente dell’Antoniana e gli chiesi se potevo giocare nella loro squadra, mi rispose di si. Alcuni giocatori li conoscevo già e rimasi con loro giocando alcuni tornei. Dopo aver lasciato l’Antoniana giocai con il Santa Maria delle Grazie, con Ciccio Alfano, Palumbo, Astoria e Gennaro Porpora. All’età di 53 anni formai un’altra squadra chiamata “Rondinella”, con gli stessi colori e una rondine sul petto a ricordo di una delle prime squadre in cui ho giocato. Quanti ricordi un salto di quasi quarant’anni, quante emozioni, ricordo che allo stadio “Bellucci” di Pompei venivano ad assistere alle partite alcuni spettatori di dei tempi passati.
Il mio desiderio e giocare fino a 70 anni, vorrei giocare un campionato con i miei nipoti Ciro e Giovanni i figli di Anna.
A causa dell’inagibilità del Bellucci non ho potuto più iscrivere la “Rondinella” ma non ho mollato e continuo a giocare nell’Antoniana. Nel 2007, giocavo ancora a Scafati ed il 17 febbraio il giorno del mio 60° Compleanno ebbi una bellissima sorpresa da parte dei miei figli. Erano le 10 del mattino e mia moglie mi disse di andare a far visita a nostra nipote che abita a via Nolana nei pressi di un campo sportivo. Arrivati sul posto vidi due ragazziin divisa azzurra soli in mezzo al campo che palleggiavano, dissi a mia moglie che somigliavano ai nostri nipoti ed allora lei mi disse di avvicinarmi per vedere meglio. Erano proprio loro. Dopo qualche minuto uscirono dallo spogliatoio uno dopo l’altro tutti i miei amici più stretti che avevano giocato con me nel corso degli anni. Fui preso dall’emozione e li abbracciai forte uno ad uno. I miei figli avevano preparato tutto, mi diedero la borsa ed una maglietta con il numero 60. Giocammo una bellissima partita alla fine della quale fui premiato con una targa ricordo che custodisco gelosamente. Tornato a casa ricordavo ciascun volto dei miei amici, avrei tanto voluto continuare a stare con loro ma a fine partita tutti mi dissero che avevano da fare. Quel giorno le sorprese per me non erano finite, mia moglie mi disse che avremo pranzato fuori ed una volta al ristorante con mia immensa gioia rividi tutti i miei amici con cui ebbi il piacere di rimanere per l’intera giornata. Mangiammo, ballammo e ci divertimmo ricordando le vecchie battaglie, momenti lieti e tristi, ma soprattutto condividemmo di nuovo quegli ideali che ci avevano accompagnato sin da piccoli.
Ho giocato migliaia di partite e segnato centinaia di gol di cui ricordo i più significativi:
– una rete a Fisciano con un bellissimo colpo di testa in tuffo;
– una doppietta a Vico Equense;
– una rete spettacolare a Pompei contro il Nocera;
– una, dopo un minuto di gioco, direttamente dal calcio d’angolo contro il Rovigliano;
– una ad Angri sotto il diluvio;
– una a Scafati contro la squadra della Giustizia in Seconda Categoria;
– una a Capri nell’Oplonti.
Durante l’anno di militare, quando giocavo a Bellaria misi a segno una doppietta contro il Riccione entrambi i gol in rovesciata. Giocai un torneo con Rimini, Bologna, Ferrara e Padova con i migliori giocatori dell’esercito, con me giocavano Lo Russo e Pezzella che poi militarono nelle fila del Lecce in serie A, purtroppo entrambi perirono in un brutto incidente stradale. Ricordo, inoltre, una rete contro il Vietri Raito a Pompei, dopo aver superato il portiere mi fermai sulla linea di porta e prima che lui arrivasse deposi la palla in rete. Fu l’unica volta in cui fui ripreso dall’arbitro per la poca sportività dimostrata nei confronti della squadra avversaria, infatti durante la mia carriera nonostante la grinta e la forza con cui ho sempre giocato, si contano sul palmo della mano le ammonizione e le espulsioni che mi hanno visto protagonista.
Un pensiero va anche ad un altro amico Nicola Cirillo di professione postino ma con un talento innato per il calcio unico rimpianto non averlo mai convinto a giocare nella mia squadra. Sono passati cinquant’anni e sui campi di calcio ho visto di tutto, abbracci, botte pianti per una sconfitta e gioia per una vittoria emozionandomi quando nel mio piccolo riuscivo a vincere un trofeo ma anche quando tra mille difficoltà portavo a temine una stagione contando unicamente sulle mie forza e sull’appoggio dei miei compagni. Non mi sono mai tirato indietro giocando con la stessa voglia di quando ho iniziato, oggi i giovani sono più fortunati perché hanno i mezzi e le strutture che a noi mancavano, ma non è cambiata la necessità di metterci impegno e dedizione, serietà e sacrificio solo cosi si possono ottenere i risultati “senza trucchi”. Questo è l’insegnamento che mi sento di lasciare adesso e quando …. spero mai finirò di giocare a calcio.
Prima di concludere voglio esprimere la mia stima a Massimo Rastelli ottimo giocatore, bravissimo allenatore ma soprattutto grande uomo che non ha mai dimenticato le sue origini e gli amici che giocavano con lui agli inizi della carriera, la mia ammirazione inoltre va a Carmine Malafronte che anche se nelle serie minori, detiene un record imbattibile infatti ha segnato più di 1000 gol.
Durante la mia carriera calcistica avrò giocato più di 2000 partite tra campionati e tornei e questo è il mio piccolo “Record”.
Ringrazio il signore che mi ha dato tanta forza nelle gambe ed una famiglia che mi ha supportato in tutti questi anni.
Ho rivisto la mia inesperienza, la mia voglia di imparare e la gioia di giocare, prima nei mie figli ed oggi nei miei nipoti nei vari sport che praticano, dal calcio alla scherma alla pallavolo, il segreto è non arrendersi e rialzarsi dopo ogni caduta.
Ciro, Martina, Giovanni, Federica e Elisabetta, siate sempre forti e credete nello sport come momento di gioia ed aggregazione, non abbattetevi per una sconfitta perche i momenti bui capitano a tutti nella vita ma via assicuro che quando arriveranno quelli belli tutto sembrerà diverso e gioirete dimenticando tutte le difficoltà.
A 67 anni mi sento ancora competitivo anche quando mi confronto con giocatori che hanno quarant’anni meno di me e questo è il mio segreto.
Le ultime righe di queste pagine voglio dedicarle a chi mi ha permesso di avere tanto tempo libero da dedicare al calcio, i mie suoceri Carmine e Giannina che si sono occupati dei miei figli sin da piccoli.
L’ultimo sincero pensiero va a mia moglie Maria che in questi anni mi è stata sempre vicina e non ha mai frenato la mia “passione” a lei che non ho mai ringraziato abbastanza voglio dedicarle due semplici parole.
Ti Amo.
Giovanni D’Apice