Dal 27 al 29 l’appuntamento più suggestivo a Nusco in provincia di Avellino
Quando non esistevano i frigoriferi, gli allevamenti industriali intensivi, le serre, gli Ogm, la chimica in agricoltura. Insomma, quando la Terra era più pulita ed il ritmo della vita e quindi anche della cucina era scandito esclusivamente dalle stagioni con i loro prodotti del momento, in questo periodo era giunto il tempo della carne di maiale. Quello per cui si era dovuto aspettare circa un anno, crescendolo con cura, prima di macellarlo. Prima che diventasse la più importante riserva alimentare dell’inverno.
Oggi, tutto si trova e si vende in ogni giorno dell’anno. Anche se quasi più niente ha il sapore che dovrebbe avere. E’ il rovescio della medaglia di un benessere diffuso che garantisce tutto e subito. Niente più attese, neanche quelle legate a precise ricorrenze. Così, pian piano si è persa la magia della preparazione di feste ed eventi attesi per mesi. Nel mondo rurale, in questi giorni, si festeggiavano due importanti avvenimenti strettamente legati fra di loro. La macellazione del maiale ed i festeggiamenti di Sant’Antonio Abate considerato il protettore degli animali ed in particolare del maiale. Per la verità la storia non è stata sempre così. Anche la religione cattolica, come quella islamica ed ebraica, ha avuto qualche avversione verso il maiale considerato una creatura immonda. Basta ricordare alcuni episodi (Gesù che durante un esorcismo lascia che i demoni si impossessino di una mandria di porci o il diavolo che sotto forma di maiale tenta Sant’Antonio che ne esce vittorioso) per capire che c’è stato qualche problema iniziale. Problema, però, ampiamente superato.
Sia per la popolarità di cui ha sempre goduto sin dai tempi degli antichi romani e sia perché “i popoli occidentali avevano intuito che il suino era un incomparabile riserva di sapori”, come spiega il sociologo Corrado Barberis. Tanto che, “a furor di popolo”, le stesse raffigurazioni sacre che mostravano il porco sotto i piedi di Sant’Antonio si sono trasformate, dipingendolo, come un fedele compagno, al suo fianco. I realtà per i popoli dei paesi europei più freddi, il maiale costituiva una vera e propria riserva alimentare vivente. L’unico sogno proibito dei più poveri e l’unica certezza alimentare per chi era riuscito a conservarne qualche pezzo per il periodo più rigido e buio dell’anno. La fortuna di avere a disposizione un pezzo di lardo o di pancetta significava avere la possibilità di sopravvivere al freddo ed alla fame. Ma anche avere la gioia di arricchire i sapori delle minestre e zuppe contadine con un ingrediente che aiutava a rendere la vita più gustosa. Per fortuna è ancora radicata, nella nostra regione, la tradizione che vuole proprio in questi giorni il trionfo, a tavola, del maiale e dei suoi mille modi di prepararlo. In Campania è il tempo del ragù preparato con cotiche e tracchie e che con il suo “pippiare” profuma case, trattorie e ristoranti. E’ il tempo della minestra maritata con piede e guanciale di maiale. E’ il tempo della salsiccia e friarielli, fegatini fritti o costolette con papaccelle. Ma è anche il tempo, grazie al freddo asciutto, in cui iniziano le fasi di salatura e conservazione dei salami, pancette, capicolli, lardo e prosciutti, sia nelle case contadine che nelle aziende artigianali, non prima di essersi assicurati, come vuole la tradizione, che la luna sia calante, anzi meglio se a luna sottilissima. Anche la ricorrenza di Sant’Antonio Abate è ancora sentita e nelle zone interne, caratterizzate da una forte cultura rurale, il 17 gennaio si accendono i tradizionali falò in suo onore. Un usanza rituale che si perde nella notte dei tempi e che resta legata al ciclo vitale della natura. Uno degli appuntamenti più importanti e suggestivi è quello di Nusco, provincia di Avellino, dove dal 27 fino a domenica 29, nell’ambito del tradizionale evento “La Notte dei Falò” (rinviata a queste date per motivi meteorologici) sono previsti 3 giorni di convegni, musica folcloristica e gastronomia tipica con tanto vino doc. A Nusco la notte dei falò nasce alla fine del 1600 come rito propiziatorio contro la peste che nel 1656 fece ben 1200 vittime. Da allora, in occasione del 17 gennaio il piccolo borgo irpino si illumina dei tanti falò per tenere lontano i mali dal mondo.