L’annuncio del concepimento di Lorenzo (futuro Magnifico) e lo sguardo vissuto di Cosimo verso l’imponenza della cupola di Santa Maria del Fiore hanno concluso il capitolo Rai della storia de’ “I Medici” con una chiusura che non mette un punto, ma un punto e virgola: in sostanza non c’è una parabola definitiva dei personaggi e attraverso il simbolo della Cupola non ancora terminata, capiamo che di questa grande famiglia non abbiamo ancora visto tutto, che sì, Cosimo è riuscito a ritornare dall’esilio, a sgominare Albizzi, a sottrarre a Pazzi la gestione della banca vaticana, ma vi saranno ancora complicazioni, lotte, sconfitte, risurrezioni e una serie seria non può permettersi l’happy ending da “Medico in famiglia”. Perché sì, questa è una serie seria e dietro le critiche degli snob spesso si nasconde solo il fatto che “non fa nobile” dire che la Rai per una volta ha vinto su tutti i fronti.
La questione storica. Il rimprovero dell’inesattezza storica e la parallela difesa secondo cui “qui si parla di fiction e non di realtà” sono entrambi destinati a cadere: la trama è tutta imbastita sul conflitto storico del primo Rinascimento, già raccontato da Boccaccio nelle novelle del Decameron proprio negli anni dell’ascesa di Giovanni de’Medici o da Machiavelli nelle sue commedie in pieno Rinascimento: il passaggio di potere dai nobili ai “parvenu”, i primi esemplari di borghesi, coloro che si sono costruiti dal nulla, come i banchieri. Qui è la stessa questione storica a dettare legge nella trama, anche i fili delle storie d’amore sono mossi dal macroconflitto in atto e non dal voyeurismo di “fare fiction”, che poi è la differenza tra gli sceneggiatori di Elisa di Rivombrosa e quelli con senso della Realtà. Ma c’è un motivo ancora più profondo di una mera questione di “genere fiction”: il compito dell’arte è trasfigurare il Contingente per rendere il Senso di un’epoca, in cui quello stesso contingente è sublimato e ricompreso nell’Universale di quell’epoca: che gli eventi della vita dei personaggi siano più o meno inventati conta poco perché le vicende della Storia seguono lo Spirito del Tempo, quello è fondamentale mantenere. Inoltre, questa serie ha un tema chiaro: quanto di te sei disposto a sacrificare per entrare nella Storia? Il criterio del tema opera l’altra selezione fondamentale in mezzo agli accadimenti della vita di un uomo. Insomma, la “correttezza” deve essere il requisito di una lezione di storia, non di un’opera d’arte.
Il problema “persuasione”. La rivista Rolling Stone ha definito quelle degli attori “interpretazioni sciatte”. Qui sorge una questione di Estetica tra come il mondo lo vediamo noi e come lo vedevano al tempo dei Medici, ossia come narrare una storia del Rinascimento: rispettare i canoni emozionali del tempo o accondiscendere al fruitore contemporaneo? Dietro la serie c’è un ragionamento compiuto: i sentimenti e gli archetipi sono universali e fuori dal tempo, ma il modo di viverli segue un contesto. Ecco che il successo di Contessina riguardo al ripiegamento sull’esilio al posto della condanna a morte del marito diventa motivo di prolungato astio di Cosimo nei confronti della moglie, persino al ritorno: in una sceneggiatura moderna, nel gioco delle cause, questa risulterebbe assai debole, ma nella psicologia di un “padrone di Firenze” basta e avanza; che Richard Madden tenga sempre quello sguardo così fermo potrebbe sembrare una pecca recitativa, ma pensiamo a un uomo che ha dovuto abbandonare il proprio sogno di artista per rendere grande una famiglia e quel portamento si rivela pregno di sottotesto. Esattamente come le scene di sesso: tutte funzionali alla storia, per citarne una, il momento della sesta puntata (minuto 37.14) in cui parlando con asprezza di doveri coniugali, Cosimo e Contessina finiscono in un amplesso che significa crudamente quali “doveri di marito” Cosimo intenda ormai dinanzi alla donna che ha permesso il suo esilio. Si sa, una scena potente è fatta di cambi emozionali: consiglio ai commentatori di contare quanti e quanto forti siano in questa scena.
La questione “conseguenze”. “Il problema è che ancora una volta ci siamo accontentati, che il pubblico ha accettato pigramente il compromesso della televisione pubblica (…)e così quella che poteva essere la rinascita della serialità in Rai, è stata solo un’altra, patetica fiction”- ancora il Rolling Stone. In proposito, vorrei domandare quale serie risulta più educativa di una in cui un’opera come la Cupola di Santa Maria del Fiore diventa protagonista, in cui il David di Donatello assurge a simbolo di una Storia che cambia e fatto oggetto di discussione tra due visioni contrapposte del mondo (Albizzi/Pazzi-Medici), in cui Cosimo usa il progetto di commissione della Biblioteca di San Marco di Michelozzo come arma per convincere il Doge a perorare la sua causa di ritorno dall’esilio. Inoltre, per la dinamica mai scontata delle emozioni dovremmo ammettere che la Rai ha fatto il suo mestiere di servizio pubblico: persone abituate a “Braccialetti rossi” e “L’Allieva” hanno avuto l’occasione di entrare in sintonia con sguardi ed emozioni diverse dalla manfrina “triste-felice”, anche risultato di un lavoro registico che si sente.
Perciò, cari amici snob, toglietevi quegli occhialini che vi fanno pensare che solo voi fate l’arte redentrice del popolo e un paio di lenti a contatto vi lasceranno vedere la realtà.