Catalanesca del Monte Somma IGP, Katà, Cantine Olivella, 2015
Ci troviamo a Sant’Anastasia, sul versante nord del Parco Nazionale del Vesuvio a circa 450m d’altitudine, ai piedi del Monte Somma: la parte più antica del vulcano.
La località si chiama esattamente “Cupa dell’Olivella”. Prende il nome dalla fonte omonima d’acqua sorgiva che, 2000 anni orsono, veniva sfruttata per abbeverare gli allevamenti di bestiame e come fonte di irrigazione di sostegno per l’agricoltura e la viticoltura nelle zone limitrofe, nonchè per rifornire (nel 1700) la Reggia di Portici grazie ad un antico acquedotto romano.La morfologia del suolo dell’areale vesuviano veniva già riconosciuta dagli antichi romani come l’habitat ideale per la viticoltura, tant’è vero che i vini più pregiati dell’impero venivano prodotti proprio qui e successivamente trasportati nella capitale. Questa tesi è stata ulteriormente confermata nel corso degli anni da vari rinvenimenti di reperti storici, tra cui un frammento di un orcio vinario in terracotta (dolium) che riporta impresso il nome del produttore (Sextus Catius Festus) ed il sigillo (una foglia di vite stilizzata).
Tanta passione unitamente ad una tradizione si di famiglia, ma radicata in millenni di storia, nonchè l’unicità del contesto e dell’ampelografia locale. Sono questi i moventi che nel 2004 hanno spinto 3 amici a dar vita all’azienda.
Andrea Cozzolino, Ciro Giordano e Domenico Ceriello hanno tratto spunto dalle vicissitudini storiche per la scelta del nome e del logo dell’azienda. Da sempre sono stati strenui sostenitori e difensori della caparbietà dei contadini del posto, grazie ai quali, dal 2004 è iniziato un lento ed accurato censimento delle vigne per recuperare gli antici vitigni autoctoni scampati alla fillossera grazie alla matrice vulcanico-sabbiosa del suolo. E’ singolare, quanto poco conosciuta, la tecnica (utilizzata anche dall’azienda) con cui viene conservato il DNA originario e allo stesso tempo “rigenerate” le vecchie vigne che cominciano ad essere improduttive: vengono scavati dei solchi profondi 1 metro e paralleli ai filari, nei quali vengono interrate le viti lasciando emergere solo i tralci portatori delle nuove gemme.
In questo modo, diventa meno oneroso il rifacimento del vigneto che resta improduttivo per 1 solo anno.
L’Azienda Agricola Cantine Olivella ha fatto della rivalutazione delle uve locali il proprio motto: è soprattutto grazie al loro sforzo che si è giunti all’iscrizione della Catalanesca tra le uve “da vino” ed arrivare all’imbottigliamento della IGP Catalanesca del Monte Somma.Uno dei 3 soci, Ciro Giordano, è stato eletto Presidente del Consorzio Tutela Vini Vesuvio e da subito ha iniziato a lavorare per la stesura di un nuovo Disciplinare di Produzione (presentato in occasione del Vinitaly 2016 e sul quale lavora dal 2012 con l’aiuto ed il supporto delle altre aziende iscritte alla DOP Vesuvio), per soppiantare un protocollo vecchio ormai 33 anni e, valorizzare ulteriormente la produzione di vini di qualità del territorio come da filosofia della sua azienda e di altre identità territoriali.
Attualmente Cantine Olivella produce circa 60000 bottiglie, ottenute dal duro e rispettoso lavoro in 12 ha di vigne (in parte di proprietà ed in parte in affitto), sotto la conduzione enologica di Fortunato Sebastiano che si occupa della trasformazione di varietà rigorosamente locali: Aglianico, Caprettone, Catalanesca, Olivella Nera e Piedirosso.
Di seguito vi riporto le mie personali impressioni sul Katà, vino simbolo di Cantine Olivella.
E’ un vino ottenuto dalla vinificazione di Catalanesca in purezza, allevata con una densità di 4000 ceppi/ha, a spalliera e con potatura a Guyot, su suolo vulcanico-sabbioso e rese di 60 q/ha.
Questa uva deve il suo nome alla sua origine geografica: fu importata alle pendici del Somma Vesuvio dalla Catalogna, da Alfonso I d’Aragona nel XV secolo, e impiantato sulle pendici del Monte Somma.
Singolare è la scelta del nome del vino e dell’etichetta. Katà è inanzitutto il diminutivo di Catalanesca, dall’etimologia Greca sta a significare “sotto” (il Vesuvio), in Giapponese invece “virtù” (con riferimento alsingolare contesto ampelografico in cui viene allevata). L’etichetta, come quella di tutti gli altri prodotti aziendali, è un omaggio all’arte Vesuviana di Olimpia Fontanelli. La vinificazione avviene esclusivamente in acciaio, con una permanenza sulle fecce fini di circa 4 mesi. Successivamente il vino viene filtrato a freddo ed imbottigliato, per una sosta in vetro di 3 mesi prima della commercializzazione. Calice alla mano ci troviamo di fronte ad un vino dalla luminosa veste paglierina e di buona consistenza.
Al naso è sottile ed elegante. Si avvertono profumi di albicocca non perfettamente matura, di timo e foglia di pomodoro, di mandorla amara, di ceralacca e pietra focaia.
Al sorso si evincono un discreto equilibrio ed un corpo di media struttura. Morbido e con una buona percezione pseudocalorica, gioca le sue carte principalmente su freschezza e sapidità. Piacevole è la chiusura di bocca che richiama in parte le note fruttate ed eteree. Ho avuto modo di apprezzare il Katà in un calice di media grandezza, intorno ai 10/12°C.Personalmente lo abbinerei ad un piatto di “Zucca e Topinambur grigliati, con salsa al salmoriglio“. Rubrica a cura di: Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia, Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina.