Di recente è stato pubblicato sulla rivista scientifica internazionale PNAS uno studio condotto da alcuni ricercatori dell’Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori “Fondazione G. Pascale” di Napoli, riguardante la cura del melanoma. La forte eco mediatica che la notizia sta avendo in questi giorni contribuisce ad alimentare speranze, in parte giustificate ed in parte ancora quantomeno utopiche, nella popolazione. Ma, prima di lasciarsi andare a precoci entusiasmi bisogna comprendere cos’è il melanoma, che cosa implicano le nuove scoperte e se queste possono essere allargate al più vasto campo dei tumori.
Il melanoma, uno dei tumori della pelle
Il melanoma non è un tumore molto frequente, tenendo conto del fatto che si rilevano circa 6 000 nuovi casi all’anno, con una frequenza leggermente maggiore nei maschi, e che rappresenta solamente il 5% di tutti i tumori che hanno come bersaglio la pelle. Nonostante
ciò, l’incidenza è in aumento del 10-15% nel corso dell’ultimo decennio e la sopravvivenza è molto variabile, in relazione alla sede anatomica colpita, all’età del paziente -i giovani hanno più spesso una prognosi peggiore- ed anche allo stato socio-economico, se consideriamo che le classi sociali economicamente più svantaggiate tendono quasi sempre a ridurre, tra le altre, la spesa medica. Un ulteriore fattore importantissimo per determinare la prognosi è la velocità con cui il melanoma è individuato, siccome negli stadi avanzati diventa più difficile da trattare. Questo tumore della pelle presenta diversi fattori di rischio, tra cui il più importante è sicuramente l’esposizione eccessiva ai raggi solari, soprattutto nelle ore più calde della giornata, poiché i raggi ultravioletti, emanati in grandi quantità anche dalle lampade solari, sono un potente agente mutageno per il DNA delle cellule. Questo è anche il motivo per cui le popolazioni bianche sono maggiormente colpite dal melanoma, essendo gli individui meno protetti a causa della minor quantità di melanina prodotta. Inoltre le persone con più nevi sono maggiormente colpite e ciò è ragionevole se si considera che un nevo non è altro che un tumore benigno della pelle, il quale può andare incontro a altre mutazioni che ne determinano la progressione in carcinoma.
La terapia a bersaglio molecolare ed i suoi limiti
Ad oggi esistono molteplici soluzioni terapeutiche e, oltre alle classiche chirurgia, radioterapia e chemioterapia, abbiamo delle innovative strategie, come le terapie a bersaglio molecolare, che consistono nella somministrazione di farmaci capaci di colpire specificamente la molecola alterata nella cellula cancerosa e di inattivarla. In particolar modo, Vemurafenib e Trametinib sono due farmaci che bloccano l’azione incontrollata di altrettante proteine, chiamate B-RAF e MEK, le quali sono iperattivate nelle cellule che compongono il melanoma ed agiscono su pathway molecolari che inducono le cellule a dividersi, a proliferare e a compiere altre azioni che, se non vengono controllate adeguatamente, conducono inevitabilmente allo sviluppo di una massa tumorale. Sebbene alcuni pazienti rispondano positivamente a questo trattamento, ve ne sono altri che, dopo un soddisfacente periodo iniziale, ad un certo punto non risentono più degli effetti benefici del farmaco. Siamo di fronte ad un classico caso di farmaco-resistenza, cioè un caso in cui alcune cellule sviluppano ulteriori mutazioni, che danno loro un vantaggio selettivo nei confronti delle altre e gli consentono di proliferare anche in presenza del farmaco, senza risentirne, e rafforzando il tumore.
Un piccolo microRNA apre un ampio orizzonte
Un nuovo spiraglio per la cura del melanoma si apre proprio nell’ambito della sfida posta dai numerosi casi di resistenza ai farmaci, che impongono ai ricercatori di provare a trovare continuamente nuove molecole per aggirare l’ostacolo. I ricercatori dell’istituto “Pascale” di Napoli, nell’ambito di un team che ha coinvolto anche studiosi dell’Università “Sapienza” di Roma e di alcune università d’oltreoceano, hanno focalizzato la loro attenzione su una
particolare molecola, il miR-579-3p, che fa parte della classe dei microRNA. I microRNA, anche detti miRNA, sono degli acidi nucleici scoperti solo nel 1993, che hanno la funzione di degradare o inattivare altri RNA, detti messaggeri. Gli RNA messaggeri (mRNA) non sono altro che lo stampo a partire dal quale vengono prodotte le proteine da parte delle cellule e, quindi, i miRNA, quando presenti, fanno diminuire la quantità della proteina corrispondente all’mRNA che viene inattivato o degradato. In particolare è stato osservato che miR-579-3p è capace di degradare gli RNA messaggeri che codificano per la proteina B-RAF, abbassandone in tal modo il livello di espressione. B-RAF è proprio la molecola che si trova iperattivata nella maggior parte dei melanomi, oltre ad essere quella su cui agisce il Vemurafenib, prima che si instauri la farmaco-resistenza, e quindi l’importanza di tale scoperta sta nel considerare l’uso di miR-579-3p sintetici per andare a bersagliare quelle cellule su cui i farmaci classici non hanno più effetto. Dagli esperimenti condotti dal team partenopeo si è constatato che questo miRNA particolare è talmente importante per la cellula sana che, quanto più le cellule sono alterate, tanto meno se ne trova al loro interno, costituendo dunque un’importante barriera nei confronti dell’insorgenza del melanoma. Per di più è stato osservato che, oltre ad agire abbassando i livelli di B-RAF, miR-579-3p indirizza alla morte le cellule del melanoma ed ha un effetto di potenziamento nei confronti dell’azione dei classici farmaci a bersaglio molecolare.
Una prospettiva realistica
Tutto ciò è, ovviamente, importantissimo, perché permette di estendere il fronte della ricerca e di aumentare le possibilità terapeutiche nell’ambito del melanoma farmaco-resistente, ma non rappresenta di sicuro lo step definitivo nella cura di questa neoplasia, né tantomeno degli altri cancri. Questo perché una delle caratteristiche dei tumori è la loro impressionante eterogeneità, tanto che essi possono essere molto diversi dal punto di vista molecolare anche nell’ambito di una stessa tipologia clinica, ossia due cancri del polmone o due cancri della tiroide, ma non solo, possono presentare alterazioni molecolari così diverse da cambiare in toto la strategia terapeutica, oltre che la prognosi e tanti altri aspetti. Tuttavia, una scoperta come quella fatta dai ricercatori del “Pascale” è illuminante anche perché rafforza l’idea che i miRNA possano essere, oltre che dei bersagli da considerare in ambito oncologico, anche una sorta di marcatore per distinguere le cellule sane da quelle malate.