Durante l’infanzia, uno dei concetti che per primi vengono appresi riguarda l’esistenza dei cinque sensi, di cui ci si serve sin dalla nascita e che, con la crescita, vengono utilizzati con sempre maggiore consapevolezza. Invece raramente si sente parlare di propriocezione, un termine che è stato relegato per troppo tempo al solo linguaggio specialistico dei campi della fisiologia e della medicina in generale.
La capacità di “sentire sé stessi”
Molte delle attività che compiamo quotidianamente necessitano della propriocezione, che può essere definita come la capacità di percepire il proprio corpo nello spazio, indipendentemente dall’uso della vista, così come di qualsiasi altro senso propriamente
detto. Questa abilità ci permette, ad esempio, di riuscire a camminare in una stanza buia senza perdere l’equilibrio, ci rende capaci di usare adeguatamente i nostri muscoli, regolando la contrazione in modo tale da generare una forza che sia sufficiente a compiere un determinato sforzo, ma che allo stesso tempo non sia in alcun modo superiore alle nostre effettive capacità fisiche. Nella fattispecie, quest’ultima abilità è data dall’integrazione dei segnali provenienti da due recettori particolari: i fusi neuromuscolari e gli organi tendinei di Golgi, situati a livello muscolare ed aventi delle funzioni complementari, che ci permettono di rispondere ad uno stimolo e di evitare sforzi che danneggerebbero il muscolo. I due sistemi citati, però, fanno parte di una famiglia più ampia ed eterogenea di recettori propriocettivi, tra cui annoveriamo anche i recettori della capsula articolare, grazie ai quali il nostro sistema nervoso centrale può rilevare la posizione relativa di due ossa contigue, o alcuni esterocettori, come i corpuscoli di Ruffini, sensibili alla pressione, e di Pacini, sensibili a stimoli meccanici, presenti entrambi a livello cutaneo. Tutto questo ampio bagaglio di sensori –e ne sono stati citati solo alcuni- viene sempre più considerato come un vero e proprio “sesto senso”, senza il quale non potremmo gestire le nostre azioni in relazione all’ambiente che ci circonda.
Due casi ed un’unica malattia sconosciuta
Pur conoscendo abbastanza bene gli aspetti anatomici e funzionali relativi alla propriocezione, abbiamo pochissime nozioni riguardanti il substrato genetico del fenomeno. Per questo motivo desta molto interesse in ambito medico la scoperta della funzione di un gene, PIEZO2, individuato già da qualche anno, senza che però se ne riuscisse a capire la funzione reale. I ricercatori del circuito dei National Institutes of Healt (NIH) americani, si sono trovati di fronte a questo gene in modo abbastanza inaspettato, tanto che i componenti dell’equipe sono stati i primi a rimanere stupiti dalla scoperta. Tutto è iniziato dallo studio di due pazienti, entrambe femmine, con una combinazione di sintomi inusuale, appartenenti ad
una malattia non ancora riconosciuta e classificata. Entrambe le ragazze, di 18 e 8 anni, presentavano deformità articolari a livello dell’anca, delle dita, dei piedi, una severa scoliosi progressiva, difficoltà nel vestirsi e nel nutrirsi da sole, oltre che nella deambulazione, mentre le capacità cognitive rientravano perfettamente nella norma. Di fronte a questi e ad altri sintomi, i medici hanno deciso di andare più a fondo ed hanno richiesto il sequenziamento dei due DNA. In seguito a questa analisi, si è notato che entrambe le ragazze presentavano delle mutazioni in omozigosi, ovvero su entrambi i cromosomi 18, nella sequenza appartenente proprio al gene PIEZO2.
Il gene PIEZO2 e la propriocezione
A quel punto è risultata chiara la possibilità di provare a scoprire la funzione di un gene rimasto a lungo misterioso ed allora, partendo dalla presentazione clinica delle pazienti, i ricercatori hanno approntato alcuni test incentrati sull’aspetto della propriocezione, per verificare fino a che punto la mutazione riscontrata influisse su questa particolare capacità. Si è appurato che, mentre alla luce del sole almeno una delle due ragazze era capace di camminare, seppur con andamento claudicante, quando le veniva posta una benda sugli occhi, la ragazza non era più capace nemmeno di mantenersi in piedi. Allo stesso tempo, con diversi strumenti, si è notato che la malattia rendeva le due ragazze meno sensibili a vibrazioni e stimoli pressori applicati sulla pelle e, in caso di due stimoli generati in contemporanea, solo raramente riuscivano a discernerli come separati. L’esperimento cardine della ricerca, quello che dimostra più di tutti l’importanza della propriocezione, verteva sulla capacità di riuscire a portare la mano in corrispondenza prima del naso e poi di un bersaglio posizionato di fronte alla paziente, un esercizio che apparirebbe banale e di semplice esecuzione per chiunque. Tuttavia, mentre con l’ausilio della vista entrambe le ragazze riuscivano a compiere questo gesto elementare, quando venivano bendate nessuna delle due era capace di portare la mano sul bersaglio, dimostrando proprio la perdita della capacità di avvertire il posizionamento del proprio corpo nello spazio.
Un ampio orizzonte, dalla patologia allo sport
La scoperta del coinvolgimento del canale ionico di membrana codificato dal gene PIEZO2 rappresenta un ottimo punto di partenza per la comprensione dei meccanismi molecolari della propriocezione. Oltre a poter essere potenzialmente implicato in altre patologie, questo gene potrebbe anche essere uno di più fattori genetici responsabili dello sviluppo, in alcune persone, di certe capacità di coordinazione al di fuori del normale. In particolare l’attenzione dei ricercatori si focalizzerà anche sullo studio di atleti affermati in campi come quello dell’atletica leggera, in cui la gestione del corpo è fondamentale per ottenere buoni risultati.
Si potrebbe prospettare, a tal proposito, la presenza di alcune varianti geniche di PIEZO2, così come di altri geni ancora ignoti, capaci di rendere determinate persone più abili rispetto ad altre nello sfruttare la propria sensibilità propriocettiva. L’aumento delle capacità propriocettive d’altronde costituisce già da un po’ di tempo un target in ambito sportivo, in cui ci si avvale sempre di più di alcuni esercizi che permettono di migliorare l’esecuzione dei movimenti, prevenendo in tal modo gli infortuni. Dunque la propriocezione, alla luce di questa nuova interessante scoperta, si configura sempre più come un “sesto senso” atipico, da troppo tempo sottovalutato, ma di fondamentale importanza per la vita dell’uomo.