Campania bianco Igt “Donna Elena” dell’azienda “Porto di Molo”
L’Azienda Agricola Porto di Mola fu fondata nel 1988 dalla famiglia Esposito, la cui tradizione vinicola risale alla fine dell’800. A ridosso degli anni ’90 Giuseppe Esposito, il fondatore, rileva un fondo di 325 ha tra le colline di Rocca D’Evandro e Galluccio: una zona particolarmente vocata alla viticoltura per morfologia del suolo e microclima.Ci troviamo all’interno del Parco Regionale di Roccamonfina, sul versante nord-est del vulcano, ad 1 Km dal fiume Garigliano. Era proprio qui che sorgeva un importante porto commerciale dal quale i Romani esportavano i vini e gli oli della “Terra di Lavoro”. Di qui il nome dell’Azienda (Porto di Mola) che trae spunto dal trascorso storico. Il fondo inizialmente era di proprietà del Duca fiorentino Velluti Zati, che vi aveva fatto impiantare 27 ha di vigneto con un sistema di allevamento a tendone per favorire una produzione di tipo quantitativo.
I vitigni impiantati erano sangiovese, ciliegiolo e merlot che però non seguivano un’ordine logico nè all’interno del filare stesso, che tantomeno tra una vigna ed un’altra.
Il riconoscimento della “D.O.C. Galluccio” nel 1997, unitamente al fatto che le diverse varietà avevano periodi di maturazione totalmente diversi e causavano problemi sia in raccolta che durante i trattamenti fitosanitari, spinsero Giuseppe (sotto lo gli stimoli del figlio Antimo) alla totale conversione dei vigneti.La scelta ricadde su varietà autoctone campane quali l’aglianico amaro (localmente diffuso) e la falanghina (biotipo beneventano), che ottemperavano al disciplinare di produzione.
Il sistema di allevamento passò a sua volta dalla pergola alla spalliera, con relativo infittimento d’impianto, sancendo un netto cambio di rotta col passato.
Il merito fu della lungimiranza di Antimo che, fin dai primi momenti, ha voluto puntare tutto sulla qualità affidandosi all’enologo Maurizio De Simone, da sempre innamorato di questa “terra di confine”.
Nel corso degli ultimi anni il vigneto è passato dai 25 ha di fine anni ’90 agli attuali 45, con l’aggiunta di altre due varietà rigorosamente campane quali il fiano ed il greco, mentre la vecchia cantina è stata rimpiazzata con un’ampia ed accogliente struttura dotata delle più moderne ed efficienti attrezzature.
L’attuale conduzione enologica è affidata a Davide Biagiotti, supportato dall’agronomo Franco Mancini.
Quest’oggi ho avuto la fortuna di degustare il Donna Elena, un bianco celebrativo e commemorativo (prodotto in una tiratura limitata di circa 4500 bottiglie) di cui sonoil primo in assoluto a parlarne.Presentato lo scorso 14 Agosto durante l’inaugurazione del Frantoio Aziendale, è un vino dalla doppia identità, volutamente, sia per le vicissitudini che lo hanno portato alla nascita, che, per la sua identità nel calice.
Nasce come sfida al tempo e se stessi, dalla voglia di misurare le capacità evolutive del proprio bianco di punta e come omaggio alla compianta Zia Elena, una donna d’altri tempi, rimasta nubile, e che è stata per tutti i suoi 12 nipoti una vera e propria seconda madre.
Alla base vi è l’assemblaggio di 3 silos da 1000 litri di 3 diverse annate dell’Acquamara (2012, ’13 e ’14) con un piccolo taglio di 500 litri di Falanghina della vendemmia 2015.
L’Acquamara nasce dalla vinificazione separata in acciaio di Falanghina, Fiano e Greco (nelle percentuali del 33, 33 e 34%), previa una notte di macerazione pellicolare a freddo a 6°C. La fermentazione avviene ad opera di lieviti selezionati e, intorno al 50% del processo, le masse vengono spillate in botti di castagno da 500 litri dove viene completato il processo fermentativo ed i vini restano a maturare sulle fecce fini per circa 6 mesi.
Al termine i 3 vini base vengono filtrati a freddo ed assemblati in acciaio, con successivo imbottigliamento ed una ulteriore sosta in vetro di 5 mesi che precede la commercializzazione.
Nel calice il vino si presenta con una vivida e carica tonalità paglierina con lievi riflessi verdolini.
Al naso emergono profumi di pera e mela matura, di pompelmo, fiori di ginestra, miele di castagno, erbe balsamiche e pepe bianco, con una lieve nota minerale di fondo.
Il sorso è secco, tagliente ed avvolgente allo stesso tempo, ricco e sorretto da una grande spinta acida ed una piacevole scia sapidità che rende il sorso ancora più interessante, intrecciandosi con i rimandi agrumati e di frutta matura al contempo. Andrebbe degustato in un calice abbastanza voluminoso e di media apertura ad una temperatura di 10/12°C.
Personalmente lo abbinerei ad un piatto di Raviolini ai Formaggi dolci, con salsa di Pere e Noci tostate.
Rubrica a cura di: Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia, Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina