Watson è il nome dato ad un particolare computer ideato dalla IBM, nota azienda statunitense con base ad Armonk, nello stato di New York, attiva nel settore dell’informatica. Questa macchina, però, ha una particolarità: è capace di comprendere il linguaggio umano, di elaborarlo, di apprendere, leggere, collegare informazioni e dare soluzioni con un livello di accuratezza mai raggiunto in precedenza.
La storia di Watson
Watson affonda le sue radici negli inizi degli anni ’90, quando nei laboratori della IBM nacque Deep Blue, il supercomputer famoso per aver battuto in più match, tra il 1996 ed il 1997, il campione di scacchi russo Garri Kasparov. Deep Blue, pur essendo un progetto pionieristico importantissimo per il progresso in ambito informatico, non ebbe immediate applicazioni pratiche nella vita quotidiana. Al contrario, il suo successore, Watson, sta stupendo il mondo da diversi anni proprio per la vastità degli ambiti in cui le sue capacità computazionali potrebbero rivelarsi utilissime, a partire proprio dall’ambito sanitario. Tuttavia, anche questo calcolatore è nato in circostanze particolari, visto che fu sviluppato per competere in ”Jeopardy!” un quiz show molto popolare negli Stati Uniti. In pochi anni, un team appositamente creato dalla IBM ha sottoposto a questa nuova macchina un database di domande delle puntate precedenti dello show ad ha caricato nella sua particolare memoria una enorme quantità di dati, che gli avrebbe dovuto permettere di competere contro i più affermati campioni di “Jeopardy!” negli ambiti più disparati della cultura umana. Ebbene, nel febbraio 2011 Watson partecipò al gioco in diretta TV e si dimostrò capace di battere Ken
Jennings, il concorrente più forte della storia di “Jeopardy!”, con ben 74 vittorie consecutive all’attivo. Questo evento mediatico ha mostrato che è possibile istruire un computer e renderlo capace di interagire con le problematiche umane, utilizzando la nostra lingua naturale. Infatti Watson è un computer cognitivo, capace di analizzare una quantità enorme di dati –può leggere 40 milioni di documenti in soli 15 secondi-, di connetterli tra loro, rappresentarli e fornire delle risposte in modo veloce nel nostro stesso linguaggio. A tutto ciò va sommata la capacità di accumulare esperienze, ovvero se Watson agisce in un ambito più e più volte, tende sempre a migliorare la qualità delle risposte in base alle esperienze di utilizzo passate.
Watson in ambito medico
Tra i vari ambiti in cui la IBM sta testando questa rivoluzionaria macchina, vi è anche quello sanitario. Da qualche anno Watson è utilizzato dal Memorial Sloan Kettering Center di New York, dove collabora con gli oncologi nell’individuazione di mutazioni genetiche associate al cancro nei casi clinici riguardanti i pazienti della struttura e viene continuamente testata la sua capacità di diagnosi. Questo nuovo supercalcolatore potrebbe rivelarsi fondamentale nel prossimo futuro come aiuto, soprattutto per i casi clinici più complessi, al personale medico. Di fatto Watson permette di risolvere l’enorme problema che si riscontra sempre più in ambito medico, rappresentato dalla vastità delle esperienze, delle informazioni e dei dati
necessari per porre una corretta diagnosi della patologia del paziente e per proporre una strategia terapeutica efficace. Ad oggi si stima che vi siano 200 000 clinical trial in corso, 21 000 componenti per i diversi farmaci, 22 000 geni e, soprattutto, più di 24 milioni di articoli medici e scientifici pubblicati, a cui ogni anno se ne aggiungono in media altri 1,8 milioni di nuova pubblicazione. E’ evidente che la conoscenza di tutta questa mole di informazioni, e di tantissime altre che sono state omesse in questo elenco, è praticamente impossibile da raggiungere per un essere umano o per un team di medici, soprattutto se consideriamo che un buon ricercatore riesce a leggere mediamente in un anno 250-300 articoli, cioè nemmeno lo 0.02% delle pubblicazioni annuali. Tuttavia, quanto più si conosce, tanto più si è in grado di effettuare diagnosi accurate. Per questo, avere un computer come Watson, capace di assorbire terabyte di dati e di collegarli tra loro, generando soluzioni attendibili in modo rapido, potrebbe rappresentare una svolta nella pratica medica.
Un esperimento strabiliante
In tale ambito Watson è stato messo alla prova da diverse università e centri di ricerca, per testare la genuinità dei suoi risultati. Nel 2013 il Baylor College of Medicine ha testato il sofisticato prodotto della IBM su un terreno particolarmente scivoloso. E’ stato richiesto a questo cervellone informatico di individuare un insieme di proteine, dette chinasi, capaci di avere un qualche effetto su un’altra proteina del nostro organismo, p53, la quale ha un ruolo importantissimo nella genesi di molti tumori. A Watson è stata fornita una enorme quantità di dati, contenente gli effetti delle chinasi agenti su p53 conosciute fino al 2002 e gli è stato chiesto di individuarne eventuali altre. In modo assolutamente sorprendente il calcolatore, dopo aver analizzato il mare magnum di dati fornitigli, ha proposto 9 proteine aventi una possibile azione su p53, e ben 7 di queste erano effettivamente presenti nella lettura scientifica successiva al 2002, di cui Watson non conosceva l’esistenza. Alla luce di questo esperimento, è evidente come questo potente mezzo sia capace di analizzare i dati e di giungere a conclusioni logiche molto più rapidamente di un essere umano e di dare risultati che altrimenti richiederebbero molti più anni e studi per essere ottenuti.
Il primo caso clinico risolto da Watson
Arrivati a questo punto ci si potrebbe chiedere se Watson sia capace di andare oltre l’applicazione nella ricerca, fino ad arrivare al letto del paziente. In tal senso, da qualche giorno si è avuta la notizia del primo caso clinico risolto brillantemente dal supercomputer. Il caso è quello di Ayako Yamashita, una donna di 66 anni ricoverata in un ospedale di Tokyo, in Giappone, per cui era stata posta una diagnosi di leucemia mieloide acuta, ma che non rispondeva affatto alle varie terapie proposte dai medici. La situazione è rimasta in una fase di stallo, fin quando non è stato chiamato in causa il gioiellino della IBM, che, analizzando decine di milioni di cartelle cliniche e pubblicazioni scientifiche, in soli dieci minuti a fornito una diagnosi rivelatasi esatta ed ha addirittura proposto una terapia mai attuata prima, la quale, come si può immaginare, si è rivelata anch’essa corretta, tanto che la donna non solo è sopravvissuta, ma è anche migliorata fino ad essere dimessa dall’ospedale. Oggi esiste un solo computer del genere, ma l’azienda produttrice ha in mente di sviluppare macchinari simili, ancora più affidabili, che in futuro, in seguito anche al calo dei costi (ad oggi si parla di milioni di dollari), potranno divenire un prezioso alleato per il personale medico in corsia.