Velia teatrofestival, in scena l’incantamento dell’Antico

Pubblicità

Vale la pena citare il titolo di un’illustre rivista internazionale di ricerca sul mondo antico: “Incidenza dell’antico” (http://www.incidenzadellantico.it/) e pensare che lo slogan del festival di Veliateatro è “in scena l’essenza dell’uomo”: due formule chiave convergenti nel sito archeologico di Elea-Velia nel Cilento, il quale rinverdisce ciò che dal teatro greco di Siracusa all’anfiteatro di Pompei al teatro di Epidauro si testimonia ancora oggi da secoli, che nell’antichità l’uomo di ogni tempo può ritrovarsi, che le epoche cambiano ma ci sono delle strutture interne imperiture: i nostri padri greci e latini continuano ad illuminarci proprio perché noi siamo i figli della loro civiltà, attraverso la sospensione del tempo e dello spazio promanante dal teatro, l’incantesimo.

La rassegna di quest’anno (consultare il sito http://www.veliateatro.it/index.html ), dedicata alla memoria dello studioso Mario Untersteiner, si è aperta con l’ “Elena” di Euripide, un dramma satiresco: una situazione tragica sviluppata in maniera comica (una black comedy ante litteram), in cui la vera Elena, quella portata da Ermes nel regno di Proteo in Egitto e insidiata dal corteggiamento di Teoclimeno suo figlio, riesce a ritornare a Sparta con Menelao, che credeva morto e che ha lottato e sofferto a Troia per “un fantasma dotato di respiro, fatto con un pezzo di cielo, […] un vuoto miraggio”, ossia l’altra Elena, quella finta, che Ermes ha confezionato e dato nelle braccia di Paride all’insaputa di tutti. Ma la tragicomicità non è soltanto un fatto di stile: l’opera, attraverso l’uso di un patrimonio mitologico comune a tutti gli spettatori, vuole esprimere, in un periodo in cui era assodato l’imperialismo ateniese e infuriava la guerra del Peloponneso (412 a.C.), che la Guerra è un’illusione, le sue ragioni chimere che poi come il fantasma di Elena svaniscono nel nulla: oltre il danno anche la beffa. In questo quadro trova spiegazione l’elemento del ridicolo, che impregna il personaggio di Menelao, il re squarcione, tanto valente stratega da avere la fifa della scopa di una vecchia serva alla prima entrata nel palazzo d’Egitto, oltre a non essere in grado di trovare la soluzione finale per scappare (ci pensa Elena).

Dopo l’ “Alcesti” di Euripide, che fa il paio con l’ “Elena” per la primazia intellettuale e morale della figura femminile, è stata la volta dell’ “Aulularia” di Plauto, con la gradevole introduzione della Prof.ssa di Storia del diritto romano Iole Fargnoli in tema di romanità tra cibo e diritto: in sostanza la base della nostra dieta mediterranea corrisponde agli alimenti cardine che erano pure dei romani, olio (per condire le vivande e coprire il loro allora cattivo stato di conservazione), pane (ricordiamo il fondamentale panem et circensem, le distribuzioni frumentarie) e vino. Di tutto ciò non si vede una briciola nella casa di Euclione, attraverso cui l’autore ci mette in guardia: pratiche quali l’avarizia, l’avidità, la misantropia, l’egoismo, non sono cattive a prescindere (il protagonista è più un pusillanime che un malvagio) e sono umane, ma si ritorcono contro chi le pratica se non sono mediate dal buon senso (Euclione si vede costretto a cedere a tutto ciò che prima della scomparsa della pentola d’oro rinnegava). Euclione è l’esasperazione in chiave di commedia del costume parsimonioso del romano medio, un modo di pensare che in qualche modo anche noi abbiamo ereditato quando si dice che gli italiani sono un popolo di risparmiatori.

Il festival continuerà fino al 22 agosto: oltre che un focus sulla scuola medica salernitana, altri spettacoli in cartellone spaziano dalla commedia alle lezioni spettacolo. Insomma, è un’occasione che chi vuole imparare a viaggiare nel sé non può perdersi.

velia scavi