E’ di recente uscita per la casa olandese Brilliant classics il disco “Bolling”, selezione di composizioni di Claude Bolling dell’ensemble Claude Quartet, che dedica dal 2014 la propria attività al compositore e pianista francese. Il gruppo è composto da esecutori cresciuti all’ombra del Vesuvio, di conclamata esperienza: Roberto Porzio al piano, Paolo Petrella al double bass, Andrea De Fazio alle percussioni e Duilio Meucci, solista alla chitarra. Meucci, in particolare, è dedicatario della prima opera per chitarra e viola scritta nel 2012 dal chitarrista-compositore Dusan Bogdanovic, intitolata “Trois à propos”. Nel 2012 consegue il Master of Art ad indirizzo concertistico presso la Haute Ecole de Musique di Ginevra, sotto la guida di Dusan Bogdanovic.
La musica di Bolling non appartiene ad un genere preciso, nel senso che la sua abilità compositiva è il frutto di molto ascolto musicale (jazz e classico), sapienza armonico-contrappuntistica, libertà d’ingegno: saper sposare stili e generi così differenti, ascoltando Bach e Duke Ellington con la stessa curiosità, non è un dono divino ma il risultato di un’analisi ben precisa sul cosa significhi fare musica. Reduce dalle innumerevoli collaborazioni classiche e jazzistiche, da Alexander Lagoya a Liza Minelli, il messaggio di una musica simile al giorno d’oggi è chiaro: associare la creatività al gusto e mai al genere. Se vogliamo, è un messaggio anche politico, dove alle coordinate di gusto e genere si possono sostituire privato e pubblico: il “genere” è qualcosa di codificato e classificato dall’esterno (il pubblico), una forma rigida scardinata dal “gusto”, frutto della personale esperienza di vita (il privato) che per forza s’invera nella contaminazione. E quelli come Bolling, come Kurt Weill (che l’ha fatto con la classica e la musica popolare per ragioni di protesta nel teatro di Brecht), ne hanno saputo mettere in arte il senso. Il genere, visto da questa prospettiva, diviene unicamente un mezzo per esprimere un sentimento, non una forma musicale scelta una volta e per sempre in cui “tutto deve starci dentro dalla prima all’ultima nota”. Ad esempio, ad un certo punto, in Mexicaine, pezzo molto lirico, lento, nostalgico, interviene un insieme di improvvisazioni palesemente jazzistiche. Siamo abituati a definirle “jazzistiche” un po’ per le armonie un po’ per i tempi d’improvvisazione, la verità è che è cambiato l’oggetto del discorso e con esso lo scopo della forma musicale: alla frase classica si sostituisce il frammento breve e si lascia spazio alla divagazione sentimentale sul tema precedente: sembra qualcosa di libero associato alla prigionia del classico, in realtà i due elementi convivono senza distinzioni, il jazz diviene classico e viceversa.
Per un chitarrista classico approcciare a questo tipo di musica significa ascoltare tanta musica diversa da quella, vastissima, che gli si insegna in conservatorio. I mezzi tecnici ce li ha tutti, magari pecca un po’ in naturalezza improvvisativa, ma con un po’ di esercizio si può riuscire a diventare “jazzisti” per un giorno.
Musica e scena in Bolling sono la stessa cosa, anche se dovrebbe essere uno dei punti chiavi di qualsiasi studio compositivo. Scena significa creare un legame con la realtà, ed è una qualità della musica. Oltre al fatto che è anche compositore di musica da film, in Bolling si avverte la vicinanza con la cinematografia proprio in virtù del crossover (intersezione di generi): i suoi pezzi possono diventare le nostre personalissime colonne sonore perché la gente, quando pensa ai ricordi e li lega alla musica, non fa un’operazione di setaccio rispetto al genere: tutto si lega insieme, le suggestioni della memoria sono ora jazz ora classiche ora popolari… E i cambiamenti della Mexicaine (il II movimento del “Concerto”) rimontano alle trasformazioni degli stati d’animo che nelle suites già erano tipiche del rock progressive (per esempio i Genesis) e più indietro di Bach.