Trebula, Caiatia, Cubulteria, Rufrae… ritrovare le città e le memorie perdute dei Sanniti

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Mura megalitiche, rovine di abitati, resti di teatri, necropoli… vestigia sannitiche, ovvero di quel popolo  forte e caparbio  che provò ad opporsi ai futuri padroni del mondo allora conosciuto, i Romani.

Il fascino forte di chi non volevaomologarsi, di chi amava la propria libertà e per conservarla era disposto a tutto: a combattere ad oltranza, a investire ogni cosa, a resistere, resistere, resistere…

È quello che in estrema sintesi accadde ai Sanniti, che si scontrarono per oltre cinquant’anni con i Romani, fino a logorarsi completamente nello scontro, ad averne distrutti gli insediamenti, obliate le città ed essere condannati alla “damnatio memoriae”.

Cancellati dalla storia dai vincitori? Nemmeno per sogno, non ci riuscirono, loro, i Romani e non ci riuscì nessun altro. Il fluire degli eventi storici, infatti, non arrivò mai a far smarrire del tutto la memoria di questo popolo straordinario, la  “Gens fortissima Italiae” come li  definì acutamente Plinio il Vecchio.

E, sempre a questo proposito, Adriano La Regina, uno degli  archeologi italiani che più ha scavato e studiato i Sanniti, così si esprime “Al di là, però, dell’ uso retorico che ne fu fatto, le guerre contro il Sannio ebbero veramente dimensione degna di una epopea, vedendosi impegnata per due generazioni la classe dirigente romana”.

Ma chi erano questi popoli dalla gigantesca statura morale, politica e sociale? Erano essenzialmente migranti dell’VIII secolo a. C., infatti  provenivano da un epicentro sito nell’Italia centrale, la Sabinia, ovvero la zona circostante l’attuale città di Rieti e dal quel punto si erano irradiati, attraverso i “veria” sacri (le primavere sacre), verso nord, risalendo i monti abruzzesi-molisani e verso sud ridiscendendo verso le montagne campano-lucane. Le asprezze, i gioghi, le alture appenniniche, insomma,  erano  tutto il loro mondo, i pascoli, gli allevamenti e i loro derivati le principali attività. Una struttura insediativa diffusa e non invasiva, la loro, imperniata su una “ragnatela” fatta da villaggi e casali sparsi, o riuniti in vici e pagi di pianura o di altura, gli oppida. A questa particolare struttura insediativa corrispondeva uno struttura statuale molto coesa e forte, che trovava la sua unità nell’insediamento religioso simbolicamente punto di riferimento per le varie tribù e nel Meddix Touticus, capo federale eletto “democraticamente” diremmo oggi e per un periodo determinato,  a capo della federazione dei popoli.

E’ in questa ottica che vanno conosciuti, visitati e apprezzati i resti dei loro abitati fortificati, quali Allifae (ritrovate tombe, mura difensive, criptoportico, teatro, terme, tabernae, anfiteatro, “Parco delle Pietre e Museo), Rufrae (necropoli, santuario, anfiteatro, fortificazione, situata nel luogo dell’attuale Presenzano), Callifae (mura ciclopiche, base di un tempio, teatro, frazione di Pratella), Austicola (mura megalitiche nel territorio dell’attuale Vairano Patenora), Caiatia (mura megalitiche, situata presso l’attuale Caiazzo), Cubulteria (attuale Alvignano, resti di un santuario).

Una delle più belle e meglio conservata è l’antica Trebula Balliensis (oggi Treglia di Pontelatone), centro strategico di difesa posto a controllo del primo valico dei Monti Trebulani, insieme a Cubulteria e Rufrae,. È considerata la Pompei dei Sanniti, poiché è il centro sannitico meglio conservato in Italia, con i suoi resti di abitazioni, fornaci, teatro, foro, terme. Nel 2007 uno scavo condotto da un Gruppo Archeologico in collaborazione con la Soprintendenza e finanziato da fondi europei, ha portato alla luce una bellissima porta megalitica del tipo “a tenaglia esterna e corridoio interno”, forse la più grande e sicuramente la meglio conservata d’Europa.

Conservare e conoscere sono le due attività da coniugare al meglio, in un territorio bellissimo, come quello dei Monti Trebulani, già esplorati nel viaggio precedente.