Mercoledì 20 aprile la Federico II a Via Mezzocannone, 8 dedica l’intera giornata a un convegno su Ernesto De Martino, filosofo e antropologo, che ricoprì a Napoli per primo la cattedra di Storia delle Religioni, tipologia di studi affermatosi tardi in Italia rispetto al resto d’Europa per l’influenza della Chiesa.
De Martino fu il controverso allievo di Croce, lo contrastò fin dalle prime pubblicazioni, ad esempio ne Il mondo magico in cui affermava qualcosa di inaudito, che il concetto di individuo così caro all’Occidente ha visto la sua nascita all’interno delle cerimonie sciamaniche per merito dei maghi: prima gli uomini non avevano idea della distinzione tra sé e l’albero che guardavano. Lì, nella fase del Magismo è nata la fondamentale idea della Presenza con l’atto della presentificazione, strutturale facoltà dell’Uomo che ci permette di vivere in comune grazie al discernimento del sé, dell’altro e della relazione col mondo circostante; facoltà di cui mancano i folli, che non rendono una situazione Presente, cioè chiari i lineamenti di classificazione per cui si può credere nella parola Realtà. Il concetto di individuo, quindi, in polemica con Kant e Croce, non è un a priori, non c’è da sempre.
Imprescindibili poi gli studi di De Martino nel meridione d’Italia, con pubblicazioni come Sud e Magia e La terra del Rimorso, in cui egli affonda le mani nelle miserie di un’arretratezza culturale voluta da classi dirigenti ingrate e approfittatrici da sempre. Nel Salento egli rintraccia tratti costituenti di strutture che fondano il comportamento umano nel concetto della Destorificazione: nel pianto rituale e scalmanato delle prefiche ai funerali, nel ballo della taranta per guarire da mali veri o presunti, nel contadino che impazzisce perché smarrisce la figura del campanile, si vede quanto l’uomo per vivere abbia bisogno di punti di riferimento, che si concretano nella ripetizione di figure, simboli, avvenimenti, miti, rituali, religioni. Perduto ciò, è perduto anch’egli.
La conclusione è la fede in un nuovo Umanesimo che possa porre in discussione il sistema di valori occidentali sotto lo stimolo dell’alterità culturale, della diversità, questione che richiama i problemi all’ordine del giorno della realtà odierna. “Si ‘mette in causa’ un certo patrimonio culturale per meglio possederlo e accrescerlo, per distinguerne chiaramente l’attivo dal passivo, non per liquidarlo e annientarlo leggermente” (Furore Simbolo Valore, 1962).