“I Vini di Indovino”. Il sommelier recensisce il rosso vesuviano

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Vesuvio Rosso DOC, Vipt, Cantine Olivella, 2013

Ci troviamo a Sant’Anastasia, sul versante nord del Parco Nazionale del Vesuvio, a circa 450m d’altitudine, ai piedi del Monte Somma: la parte più antica del vulcano.
La località si chiama esattamente “Cupa dell’Olivella”. Prende il nome dalla fonte omonima d’acqua sorgiva che, per secoli, è stata sfruttata per abbeverare gli allevamenti di bestiame e come fonte di irrigazione di sostegno per l’agricoltura e la viticoltura nelle zone limitrofe, nonchè per rifornire (nel 1700) la Reggia di Portici, grazie ad un antico acquedotto romano.
La morfologia del suolo dell’areale vesuviano veniva già riconosciuta dagli antichi romani come l’habitat ideale per la viticoltura, tant’è vero che i vini più pregiati dell’impero venivano prodotti proprio qui e successivamente trasportati nella capitale. Questa tesi è stata ulteriormente confermata nel corso degli anni da vari rinvenimenti di reperti storici, tra cui un frammento di un orcio vinario in terracotta (dolium) che riporta impresso il nome del produttore (Sextus Catius Festus) ed il sigillo (una foglia di vite stilizzata).
Tanta passione, unitamente ad una tradizione si di famiglia, ma radicata in millenni di storia, nonchè l’unicità del contesto e dell’ampelografia locale. Sono questi i moventi che nel 2004 hanno spinto 3 amici a dar vita all’azienda.
Andrea Cozzolino, Ciro Giordano e Domenico Ceriello hanno tratto spunto dalle vicissitudini storiche per la scelta del nome e del logo dell’azienda.
Da sempre sono stati strenui sostenitori e difensori della caparbietà dei contadini del posto, grazie ai quali, dal 2004 è iniziato un lento ed accurato censimento delle vigne per recuperare gli antici vitigni autoctoni scampati alla fillossera grazie alla matrice vulcanico-sabbiosa del suolo.
E’ singolare, quanto poco conosciuta, la tecnica (utilizzata anche dall’azienda) con cui viene conservato il DNA originario e allo stesso tempo “rigenerate” le vecchie vigne che cominciano ad essere improduttive: vengono scavati dei solchi profondi 1 metro e paralleli ai filari, nei quali vengono interrate le viti lasciando emergere solo i tralci portatori delle nuove gemme.
In questo modo, diventa meno oneroso il rifacimento del vigneto che resta improduttivo per 1 solo anno.
L’Azienda Agricola Cantine Olivella ha fatto della rivalutazione delle uve locali il proprio motto: è soprattutto grazie al loro sforzo che si è giunti all’iscrizione della “Catalanesca” tra le uve “da vino” e la modifica al Disciplinare di Produzione della DOP Vesuvio che dal 2011 permette di imbottigliare l’IGP Catalanesca del Monte Somma.
Uno dei 3 soci, Ciro Giordano, da un mese è stato eletto Presidente del “Consorzio Tutela Vini Vesuvio” e da subito ha iniziato a lavorare per la stesura di un nuovo Disciplinare di Produzione (che sarà presentato in occasione del Vinitaly 2016), per soppiantare un protocollo vecchio ormai 33 anni e, valorizzare ulteriormente la produzione di vini di qualità del Vesuvio come da filosofia della sua azienda e di altre identità territoriali.
Attualmente Cantine Olivella produce circa 60000 bottiglie, ottenute dal duro e rispettoso lavoro in 12 ha di vigne (in parte di proprietà ed in parte in affitto), sotto la conduzione enologica di Fortunato Sebastiano che si occupa della trasformazione di varietà rigorosamente locali: Aglianico, Caprettone, Catalanesca, Olivella Nera e Piedirosso.
Di seguito vi riporto le mie impressioni sul Vipt.
E’ un vino ottenuto dalla vinificazione di Piedirosso in purezza, allevato con una densità di 4000 ceppi/ha, a Spalliera con potatura a Guyot, su suolo vulcanico-sabbioso e rese di 60 q/ha.
La vinificazione avviene esclusivamente in acciaio, con una lunga macerazione pellicolare ed una breve permanenza sulle fecce fini. Successivamente il vino viene filtrato a freddo ed imbottigliato, per una sosta in vetro ci circa 3 mesi prima della commercializzazione.
Singolare è la scelta del nome del vino e dell’etichetta. Vipt è inanzitutto l’acronimo di Vino Piedirosso Tipico ed in più corrisponde al participio passato del verbo “bere” secondo il dialetto napoletano: nome augurale, visto che il verbo suppone l’atto del bere permeato sempre da una certa gratificazione. Inoltre Vip è anche il nome dell’opera d’arte di
Carla Viparelli riportata in etichetta, che rappresenta non a caso un vulcano con forme armoniose.
Calice alla mano ci troviamo di fronte ad un vino dalla luminosa veste rubina tendente al granato, di buona consistenza e trasparenza.
Al naso è sottile ed elegante. Si avvertono profumi di visciole e frutti di bosco maturi, di violette appassite, note terrose o comunque sure e pepate fortemente tipiche.
Al sorso si evincono equilibrio ed una struttura media. Ha una buona morbidezza e una discreta alcolicità e, gioca le sue carte principalmente su freschezza e sapidità con una delicata astringenza. Piacevole è la chiusura di bocca che richiama in parte le note fruttate e terrose.
Ho avuto modo di apprezzare il Vipt in un calice di media grandezza, intorno ai 14/15°C.
Personalmente lo abbinerei ad un buon piatto di “Pasta Mista con i Cannellini”.             Rubrica a cura di: Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia, Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina