Giovedì 3 marzo in Aula Piovani dell’Università Federico II i professori di Filosofia politica, Arienzo e Borrelli e il professore di Estetica, Distaso, hanno incontrato Vauro, il famoso vignettista, per discutere sull’identità di politica, propaganda e consapevolezza individuale. E’ possibile parlare ancora di una propaganda politica (esiste quindi ancora la politica?) o cavalchiamo l’onda anomala di una politica di propaganda?
Oggi il portatore di un ideale viene tacciato di “ideologismo”: il trionfo della nostra epoca vogliono farci credere sia esserci liberati degli assiomi: “Ma l’ideologìa è sempre stato lo strumento più immaginifico dell’umanità per una prospettiva di società e condizioni diverse, la collettività può incidere sulla realtà solo tramite l’ideologìa, purché rimanga un sistema dinamico” ha dichiarato Vauro. “Nella nostra società in cui il pensiero politico è assente, la propaganda serve non a creare consenso intorno a qualcosa ma a non determinare il dissenso, per far sì che non si aggreghino forze che mettano in crisi tale sistema. Una volta il capitalismo era produttivo, oggi Renzi e gli altri sono manovrati dal capitalismo finanziario il cui principale scopo è non avere regole, nessun laccio alla speculazione; questo ormai comanda anche nelle democrazie”. “La propaganda tramite i suoi attori vuole simulare che esista una pluralità di idee (vedi i talk show) quando il pensiero è unico e il potere vive di una linea invalicabile tra governanti e governati”- ha affermato Borrelli. L’elettorato non fa un cambiamento minino e il web è il contenitore massimo dell’illusione del singolo di poter contare qualcosa dietro le manovre di soffocamento del dissenso. “Si prenda il sistema 5 stelle dell’uno-vale-uno: se quella è comunicazione io sono un frate trappista! Ma la politica è competenza, perché non è che io l’appendicite posso farmela curare da un chiunque che su internet mi consiglia una mela al giorno al posto del chirurgo!” ha chiosato Vauro.
Il politico è diventato performer, la propaganda si fa spettacolo come avevano già ben individuato Benjamin, ne “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità” e Guy Debord ne “La società dello spettacolo”. E lo sapeva molto bene anche Goebbels, che nella produzione cinematografica nazista inserisce l’86% di film di intrattenimento:-“L’efficacia di una linea programmatica sta nel non essere esplicitata ma nell’ insinuarsi attraverso storie di tutti i giorni, quelle d’amore, quelle casalinghe, quelle dei personaggi stereotipati e uniformi. la stessa tecnica poi del cinema hollywoodiano in ‘democrazia’.”-argomenta Distaso-“ Ma che, è Rai fiction?”
La soluzione è rimettere in moto una politica di noi stessi, impegnarsi nella “cura di sé e degli altri” (Bernard Manin), far valere le proprie proiezioni desideranti, recuperare l’etimo di propaganda da “propagare” (come in Lucrezio e Cicerone) il desiderio di un nuovo tipo di soggettivazione. Stando attenti alle mani invisibili di un pensiero unico che ci entra nelle vene anche da dove meno ce lo aspettiamo.