Nell’ultimo decennio l’incidenza dell’obesità in Europa è aumentata del 10%. Anche l’Italia, famosa nel mondo per la qualità dei suoi prodotti alimentari e per essere una delle roccaforti della dieta mediterranea, segue l’andamento del vecchio continente. La Campania, invece, non solo pareggia il trend negativo, ma rilancia, e si presenta al vaglio degli studi statistici più recenti con un percentuale di persone obese o in sovrappeso sul totale della popolazione regionale del 60% per i maschi e del 43% per le femmine.
Obesità e colesterolo
L’obesità porta con sé numerosi problemi, tra i quali il più conosciuto e temuto è il famigerato “colesterolo alto”, ciò che in gergo medico viene definito ipercolesterolemia. Di per sé il colesterolo non è affatto un male da evitare, anzi, è un lipide indispensabile per il mantenimento della struttura delle membrane cellulari, per la produzione di determinati ormoni e della vitamina D. Tuttavia, una parte di esso circola nel sangue legato a proteine solubili e ad altri grassi, andando a costituire le lipoproteine plasmatiche, tra cui le più significative a livello clinico sono le LDL (lipoproteine a bassa densità) e le HDL (lipoproteine ad alta densità). In linea di massima, una lipoproteina è tanto meno densa quanto più colesterolo contiene ed è per questo che le LDL, ricche di colesterolo diretto ai vari tessuti, sono spesso definite “colesterolo cattivo”, mentre le HDL, che rimuovono il colesterolo in
eccesso dai vasi e dai vari organi, sono più famose come “colesterolo buono”. E’ intuitivo, quindi, che non conta solo il valore della colesterolemia, ma è fondamentale anche individuare come è distribuito il colesterolo nelle varie lipoproteine plasmatiche. In Italia – dove fortunatamente vi sono parametri più restrittivi rispetto a molti altri paesi occidentali – il limite massimo per la colesterolemia è individuato in 200 mg/100 ml (200 milligrammi di colesterolo per 100 millilitri di sangue), mentre le LDL non devono superare una concentrazione di 100-110 mg/100 ml. Al contrario la concentrazione di HDL non deve essere inferiore a 50 mg/100 ml.
Alle radici del problema
L’ipercolesterolemia, se si escludono i casi in cui la malattia è causata da problemi di natura genetica, è essenzialmente la conseguenza di un apporto alimentare eccessivo, di una dieta ricca in lipidi e di una vita sedentaria. Mentre l’incidenza della dieta sul fenomeno è facilmente intuibile, in quanto i grassi che vengono ingeriti in quantità eccedente per buona parte si accumulano nel tessuto adiposo, l’importanza dell’attività fisica è troppo spesso sottovalutata. Ad oggi è chiaro e scientificamente provato che non basta mangiare bene per avere uno stile di vita sano, ma è indispensabile l’attività motoria, che non per forza implica l’attività sportiva, ma può limitarsi anche ad una passeggiata quotidiana a ritmi non troppo blandi di 30 minuti. Infatti, anche se le cause del fenomeno non sono del tutto chiare, è stato dimostrato che una vita attiva non solo aiuta a ridurre la massa grassa e a prevenire l’obesità, ma contribuisce anche ad aumentare i livelli di HDL e a prevenire l’ipercolesterolemia. Nonostante queste informazioni siano ormai parte integrante del comune buon senso, in Campania, circa il 42% delle persone conduce una vita sedentaria e solo il 30% svolge un’attività fisica di livello almeno pari a quello raccomandato.
Le statine: un’arma a doppio taglio
Alla luce dei dati riguardanti l’obesità e l’ipercolesterolemia, che raccontano di una Campania strabordante di individui ad aumentato rischio di patologie cardiovascolari, è lecito chiedersi quali debbano essere gli obiettivi in ambito medico. Il primo passo è sempre l’attività di counseling, volta ad educare la popolazione ad uno stile di vita quanto più sano possibile, ma gli scenari più affascinanti si stanno aprendo in ambito farmacologico. Ad oggi le statine sono i farmaci prediletti per combattere alti livelli di colesterolemia e per ridurre il più possibile il rischio di infarti ed ischemie, che si verificano a causa della formazione di vere e proprie placche di grasso nei vasi sanguigni, le quali ostruiscono il passaggio del sangue. A fronte dei molti effetti benefici, esse presentano ancora altrettanti possibili effetti collaterali (aumentato rischio di diabete, perdita della funzione cognitiva ecc…) che possono limitarne l’utilizzo.
Un vaccino contro le LDL
L’Università del New Mexico e il National Institute of Healt (NIH), lavorando su una proteina coinvolta nella regolazione del colesterolo nel nostro organismo scoperta nel 2003, stanno effettuando una sperimentazione per portare alla produzione e alla successiva commercializzazione di un rivoluzionario vaccino che possa ridurre i livelli di colesterolo nel sangue. I primi esperimenti sono stati condotti su ratti e macachi ed hanno evidenziato risultati soddisfacenti che, in un futuro prossimo, potrebbero essere ottenuti anche nell’essere umano. Nello specifico il vaccino in questione è formato da una particella capace di attivare delle risposte anticorpali contro la proteina PCSK9, la cui presenza elevata si correla ad elevati livelli di colesterolemia e ad aumentato rischio di malattie cardiovascolari. Quindi l’obiettivo perseguito è l’innesco vaccino-mediato di una risposta immunitaria contro PCSK9, in modo da ridurne i livelli, abbassando così anche la concentrazione di LDL nel sangue ed aumentando quella di HDL. Se questo approccio innovativo dovesse risultare realmente efficiente, così come ritengono i ricercatori che stanno effettuando questa sperimentazione, si avrebbe un’alternativa alle statine, con ridotti effetti collaterali, aumentata efficienza e costi ridimensionati, visto che, ad oggi, una terapia contro l’ipercolesterolemia può arrivare a costare anche più di 10.000 euro all’anno. Anche in caso di esito positivo delle future sperimentazioni sull’essere umano, però, il vaccino sarebbe solo un utile supporto per l’individuo e non uno strumento capace di sopperire ad uno stile di vita inadeguato.