Lago Patria e sito archeologico di Liternum: Un’oasi nell’inferno

Pubblicità

Quest’oggi la tappa è in un luogo dalla bellezza arcana, il Lago Patria e sito archeologico di Liternum nel comune di Giugliano, che idealmente prosegue il litorale Flegreo visitato nelle scorse settimane. L’ambiente e il paesaggio erano stupendi fino agli anni 70  dello scorso secolo, fino a quando, cioè, la lobby del mattone non comprese che quel luogo da sogno poteva essere utilmente (per loro, beninteso!) cementificato e deturpato, per creare facili guadagni.

L’ambiente naturalistico originario comprendeva parte della Selva Gallinaria che cingeva l’antico alto litorale di Cuma e giungeva fino a quello domizio, per poi sfumare nelle dune sabbiose, profumate di rosmarino, mirto e uva selvatica, vera festa per i sensi.

L’antica area della “Literna o Clania Palus”, alimentato il passato dal fiume Clanio, capriccioso e sempre problematico per le antiche popolazioni, poi irregimentato (nei Regi Lagni) e portato a sfociare 9 km più a nord, è oggi conosciuto come Lago Patria e riceve tutt’ora il contributo delle acque sotterranee del Clanio.

La zona è sempre stata ricca di vita e di specie endemiche, pini marittimi e rigogliosa macchia mediterranea che rappresentano nel complesso un ecosistema molto vario. Ancora oggi il fragmiteto che circonda le sponde del lago è l’ideale habitat naturale del falco di palude, della gallinella d’acqua e di altre specie di uccelli stanziali e migratorie, quali aironi cinerini e guardiabuoi, fenicotteri, svassi, cormorani, garzette nivee, rettili e anfibi vari. Infatti il lago salmastro, che è anche il maggiore lago costiero campano, è ancor oggi approdo privilegiato di tante rotte migratorie, in una delle zone umide più importanti della nostra regione, nonostante la forte antropizzazione delle sponde e il consistente inquinamento circostante.

Il Lago Patria, sempre pescosissimo, è stato utilizzato per questa sua caratteristica a partire dall’epoca romana. È stato  anche il centro di una serie di miti e leggende che favoleggiavano di giganti uccisi da Ercole e qui sepolti, di città inabissate, di fanciulle e di amori infelici, il cui motivo è da ricercare nell’eterna creatività dei popoli, che nel tentativo di razionalizzare fenomeni naturali, ne ricavavano storie stupende.

Nel passato i suoni erano esclusivamente quelli naturali, costituiti dal vento che muoveva le fronde o i cespugli, le onde e i richiami di uccelli, che, come i sapori e i profumi degli arbusti mediterranei, oggi sono solo un lontano ricordo, patrimonio esclusivo della memoria degli ultracinquantenni.

Il Parco Archeologico di Liternum, realizzato intorno di recente, sopravvive agli scempi umani e agli abbandoni colpevoli, resta lì testardo a ricordare la passata grandezza e vita di un insediamento di epoca romana, che ebbe fra i suoi ospiti nientemeno che quello Scipione detto Africano da quando, unico fra i generali romani, riuscì a sconfiggere Annibale a Zama.

Ma si sa, la storia non è tutta edificante e la corruzione è male antico, infatti lo stesso eroico, altero Scipione fu accusato di peculato, poiché pare avesse sottratto un po’ di sesterzi allo Stato, e dunque si ritirò in sdegnato soggiorno a Liternum, dove morì e vi fu poi seppellito. L’epigrafe posta sulla sua sepoltura ha dato anch’essa origine a una serie di storie: pare recasse la scritta “Ingrata Patria non avrai le mie ossa”, ma al suo posto è rimasto il solo nome di Patria, non si sa se per indicare il posto prescelto da Scipione per vivere e morire o per la sopravvivenza al generale romano del termine stesso.

Ma non vi è solo la Tomba di Scipione nel Parco Archeologico; per chi riesce a giungere in questo luogo arcano vi sono i resti di una intero insediamento romano, dall’estensione di 85 mila chilometri quadrati, nato ancor prima della colonia romana ad opera di preesistenti villaggi Osci, attiva colonia romana nel II secolo a. C. e fino al IV secolo, quando impaludamento e abbandono progressivo decisero le sorti dell’antica Liternum.

Dunque qui oggi si possono vedere i resti di abitazioni, di officine varie, di zone commerciali,  del foro, del capitolium, della basilica e del piccolo teatro di una discreta e laboriosa città di provincia romana, che ebbe la ventura di trovarsi lungo un itinerario molto frequentato, fra alta Campania e basso Lazio, ovvero nel punto di congiunzione fra due realtà da sempre diversamente ricche e dinamiche, che avevano bisogno l’una dell’ altra. Motivo per cui fu costruita la via Domiziana, nel 95 a.C. che ne aumentò l’importanza e il volume dei traffici commerciali; la strada era impostata su parte del tracciato di un canale precedente, realizzato da Nerone per collegare Roma a Pozzuoli, titanica impresa abbandonata alla sua morte.

Nel 1933 l’allora Soprintendente alle Antichità (si chiamavano così i rinvenimenti archeologici), Amedeo Maiuri incaricò un ispettore onorario, Giacomo Chianese, di intraprendere gli scavi per riportare alla luce il sito dell’antica Liternum. Il Parco Archeologico ha visto la luce oltre 70 anni dopo, solo nel 2009, ma con pochi fondi e poco interesse per la sua valorizzazione da parte delle istituzioni locali, che pensavano di poterne delegare la gestione alla locale Pro Loco senza fornire adeguati finanziamenti.

E così  fra alterne vicende, un antico insediamento e un ambiente fluviopalustre di  eccezionale valenza attendono ancora di essere conosciuti o meglio riconquistati alla comunità più estesa.

E ancora oggi Scipione resta l’unico, giustamente sdegnato, custode del posto.