Lo troverete sulla sommità del promontorio che chiude il Golfo di Baia con un colpo d’occhio singolare, il Castello, o meglio la fortezza, che ospita dal 1993 il Museo: aragonese e rigorosamente in tufo, si lega allo sperone tufaceo in maniera spettacolare e offre la visione meravigliosa dell’intero Golfo di Pozzuoli e delle isole di Procida, Ischia e Capri. La sola vista vi ritemprerà e ricompenserà di tutte le fatiche fatte per arrivarci e visitarlo!
La Fortezza-Castello, posta nel comune di Bacoli, risale al XV secolo e fu fatta costruire da Alfonso d’Aragona a scopo difensivo, nell’ambito di un programma più vasto, che comprendeva la realizzazione di altre costruzioni difensive. Il castello, danneggiato dall’eruzione del Monte Nuovo, fu rimaneggiato in epoca successiva e trasformato, assumendo una fisionomia diversa da quella originaria, ovvero quell’altissimo edificio merlato che si vede in alcune xilografie dell’epoca. Il nuovo edificio fu ingrandito verso sud, affiancato da torri di guardia, come quella detta Torre Tenaglia, che consentiva di controllare l’accesso al mare e altri due baluardi negli angoli contrapposti, che assicuravano la difesa da terra. Ha attraversato le epoche e assunto varie funzioni, prima di passare a custodire il “tesoro” dei Campi Flegrei, articolato in sei sezioni e ben cinquantasei sale espositive dedicate a Cuma, Puteoli, Rione Terra, Baia, Miseno e Liternum. In realtà Cuma e Puteoli la fanno da padrone, occupando la maggior parte dello spazio espositivo e dell’attenzione dei visitatori, i quali giungeranno pressocchè stremati a visitare le ultime sale!
Il percorso museale, deciso e curato da Fausto Zevi, adotta il criterio topografico e tematico, ricostruendo i contesti archeologici in maniera organica, per quanto possibile. Ventiquattro sale per descrivere dapprima l’abitato indigeno del IX secolo a.C. di Cuma, presto sostituito da un insediamento greco (740 a.C. circa) impiantato ad opera dei coloni euboici, giunti sotto la guida di Ippocle di Cuma e Megastene di Calcide. Non è facile raccontare attraverso i ritrovamenti archeologici la vita della prima vera e propria colonia Greca d’Occidente nonché la più importante (escludendo Pitecusa, insediamento di poco precedente, ma a carattere emporico).
È da questa splendida città arroccata alta sul mare, la Kyme d’Occidente che sarebbe partita la cultura greca la quale ha permeato profondamente l’Italia Meridionale, facendone una Megale Hellas; è da qui che l’alfabeto calcidese sarebbe stato appreso prima dagli Etruschi e subito dopo dai popoli indigeni, che l’avrebbero usato ognuno per la rispettiva lingua, pur mantenendo sempre distinta lingua e cultura da quella originaria greca.
Le sale seguenti raccontano la città greca, con le sue strade, edifici e necropoli, fino al V secolo, quando i Sanniti, che avevano bisogno di affacciarsi sul mare, la presero, approfittando della sconfitta e della cacciata degli Etruschi dalla Campania a opera dei Cumani appunto, aiutati dai Siracusani. Da segnalare fra tutti i bei reperti esposti nella sala dodici, un fregio di metope e triglifi dipinto, realizzato per adornare la facciata di un tempio. I reperti raccontano ancora la città in epoca romana e fino al periodo bizantino.
Altre 20 sale servono per descrivere e raccontare il vivace insediamento di Puteoli: la colonia augustea con i suoi edifici e acquedotto, poi la colonia neroniana, le ville suburbane e le necropoli relative al periodo. Sulla Piazza d’Arme vi è la sezione relativa al Rione Terra, con i reperti scavati più recentemente.
Da non perdere la visione dei calchi in gesso relativi alle Terme di Baia, dove furono rinvenuti i resti di copie di opere greche eseguite da maestranze operanti in loco. Importante anche la visita a due ricostruzioni: il Sacello degli Augustali di Miseno e il Ninfeo sommerso di Punta Epitaffio, a Baia. Nella cosiddetta Torre Tenaglia si è voluto ricostruire la facciata del Sacello, costituita dal pronao dietro cui sono collocate alcune statue. L’edificio originario era stato realizzato nel primo periodo imperiale per onorare la memoria di Augusto e rimaneggiato successivamente.
Il Ninfeo, di cui l’originale si trova sommerso a sette metri sotto il livello del mare, è testimone del fenomeno bradisismico, sempre attivo e di cui abbiamo parlato la scorsa settimana, che ha inabissato un pezzo di costa per circa 400 metri, portando con sé ville d’ozio e costruzioni varie. Faceva parte di una grande villa imperiale che si affacciava sul mare: era un edificio rettangolare, ricoperto da un’abside semicircolare e quattro nicchie rettangolari sui lati lunghi. L’abside custodiva le statue di Ulisse e del compagno Baios, colti mentre offrono da bere a Polifemo; sui lati lunghi statue raffiguranti Dioniso e altre identificate con i genitori e i fratelli dell’imperatore Claudio che lo fece costruire negli anni del suo governo. Probabilmente era stato costruito per permettere al mare di entrare, circondando una piattaforma ad U posta più in alto. Scenografico al massimo: aveva funzione di ninfeo, con rocce e acqua ad imitazione di grotte naturali, ma serviva da sala tricliniare, quindi per consumare pasti in compagnia, stesi sui triclini posti sulla piattaforma emergente.
L’effetto doveva essere quello di pranzare circondati dall’acqua, fra le onde, con i cibi che galleggiavano in superficie. Ancora una volta gli antichi dimostrano che in fatto di fantasia e creatività architettonica hanno ancora molto da insegnarci!