L’immigrazione, al di là delle considerazioni politiche, economiche e culturali, è un importante strumento genetico. A primo impatto può essere difficile comprendere come un fenomeno, che ha le sue radici in eventi nefasti, come guerre, persecuzioni e limitazioni della libertà dell’individuo, possa apportare un vantaggio evolutivo a chi ne subisce le conseguenze, ovvero a chi è chiamato ad offrire ospitalità. Per rendere l’accostamento più intuitivo potremmo immaginare ciascuna etnia come uno dei tanti colori esistenti. Per quanto perfettamente miscibili, due colori identici non potranno mai dare una variazione cromatica, mentre unendo anche solo delle tonalità lievemente differenti si potrà ottenere un nuovo colore. Allo stesso modo, se in una popolazione avvenissero solamente accoppiamenti tra genotipi simili, ovvero tra persone che hanno un pattern di geni molto simile tra loro, non potrebbe crearsi quella variabilità indispensabile al progresso della specie, perché i geni, in tal modo, rimarrebbero per così dire isolati.
Un popolo geneticamente ricco
Fortunatamente gli italiani, ed ancor più i meridionali, sono avvantaggiati da una diversità genetica molto ampia che si è creata nel corso dei secoli, come testimoniato da uno studio condotto da ricercatori dell’Università “La Sapienza” di Roma. Gli antropologi, i biologi ed i medici che vi hanno collaborato sono giunti alla conclusione che in alcuni casi due cittadini italiani, residenti in regioni diverse, possono mostrare una variabilità genetica maggiore rispetto a quella presente in due abitanti di paesi europei molto distanti tra loro, come la Spagna e la Romania. Questo fenomeno è dovuto al background storico delle nostre terre, che sono state talvolta oggetto di conquista e, in altre occasioni, orizzonti di speranza per popoli in cerca di condizioni di vita migliori, come accade tutt’ora. Ebbene, anche la presenza di eserciti, funzionari e amministratori stranieri, che potremmo considerare come dei “migranti privilegiati”, si sono rivelate, al netto dei misfatti politico-economici, un bene dal punto di vista scientifico. La regione Campania, con la città di Napoli in primis, è stata tra quelle che hanno maggiormente subito questi fenomeni; basti pensare alle dominazioni di angioini, aragonesi e borboni, per citarne qualcuna. Ma come si collega all’evoluzione tutto ciò?
I vantaggi della multietnicità
Molto semplicemente, gli innumerevoli studi condotti nell’era post-darwiniana hanno evidenziato che i popoli capaci di far fronte meglio degli altri ad eventi avversi, che per essere superati richiedono determinate predisposizioni strutturali, sono quelli con più differenze genetiche tra gli individui che li compongono. Ciò è vero perché, ad esempio, al presentarsi di un’epidemia data da un morbo grave ad alto tasso di mortalità, se nella regione colpita molti individui o tutti possiedono un allele (una variante di una regione di DNA) che li rende suscettibili, è ragionevole pensare che possano anche essere colpiti tutti in modo serio. Mentre, se tale ipotetico morbo colpisce una regione in cui vi è un alto grado di polimorfismo per quel gene, ovvero vi sono molte differenze in termini di DNA, vi saranno più individui che non presenteranno fattori di rischio genetici e, quindi, saranno più difficilmente affetti. L’importanza della differenziazione genetica è messa in risalto anche da diversi studi biologici, condotti su alcune rare specie animali capaci di diversificare, all’occorrenza, la propria modalità di riproduzione. Questi animali, che solitamente effettuano solo la riproduzione asessuata, dando origine ad una progenie di cloni, quando avvertono una situazione di pericolo, acquisiscono la capacità di riprodursi sessualmente. Facendo ciò danno alla luce individui dei due sessi, che si riproducono e “mischiano” i propri geni, aumentando la probabilità che una parte della popolazione animale acquisisca un pool genico adeguato a fronteggiare e superare la condizione di pericolo.
Un caso di isolamento genetico
Tornando all’essere umano, gli effetti di un prolungato isolamento da parte di una popolazione sono rintracciabili nei cosiddetti isolati genetici. Un isolato genetico è costituito, ad esempio, dalla comunità Amish, stabilitasi dal XVIII secolo in una piccola area della Pennsylvania e composta dai discendenti di migranti nord-europei di fede anabattista. Gli Amish sono un isolato genetico perché contraggono matrimoni solo all’interno del loro gruppo e, quindi, i loro geni rimangono, per così dire, isolati, propagandosi attraverso le diverse generazioni senza alcun contributo esterno. Questo comporta degli svantaggi, tra cui la presenza frequente negli Amish di alcune malattie genetiche, molto rare nel resto del mondo, come la sindrome di Cohen, la quale causa ritardo mentale e alcune malformazioni. In tutto il mondo vi sono poco più di cento affetti, ma più del 10% di essi si ritrova fra gli Amish. Se essi introducessero la possibilità di sposarsi ed avere figli con individui di altre etnie, l’incidenza di questa, come di altre malattie genetiche rare, diminuirebbe sensibilmente, perché il loro genoma verrebbe “contaminato” da geni normali per quelle determinate caratteristiche.
L’integrazione come risorsa genetica
Sebbene oggi si guardi spesso con sospetto e riluttanza ai nuovi fenomeni migratori, nessuno può negare che la creazione di un flusso genico, conseguente allo spostamento di molte persone in paesi con abitanti di etnia diversa, sia un bene per la nostra evoluzione. Tuttavia non basta la semplice migrazione per attuare uno scenario genetico favorevole, ma una condizione necessaria è la piena integrazione dei nuovi arrivati con gli autoctoni. Questo passaggio, finalizzato all’instaurarsi di relazioni sociali forti, come matrimoni multietnici, richiede tempo e, solitamente, non avviene quasi mai nei migranti di prima generazione, ma è tanto più presente quanto più si procede nelle varie generazioni di discendenti. Quindi ghettizzare, emarginare e diffidare di quelli che saranno i nuovi italiani, i nuovi meridionali ed i nuovi napoletani è un’occasione persa dal punto di vista genetico, oltre ad avere dei risvolti sociali ed economici ampiamente dibattuti dal mondo politico.