Certo, affinché un’opera possa essere considerata grande è necessario che essa sia caratterizzata da una certa genialità. Ma affinché possa poi arrivare a tutti, è necessario che la genialità trovi un punto di incontro con la semplicità. Charlie Chaplin riesce ad ottenere questo risultato e nel 1940 regala alla storia del cinema e dell’arte in genere un’opera unica, una pietra miliare: Il Grande Dittatore.
Il film segnerà la storia per diversi motivi: in primo luogo sancirà la morte di Charlot, personaggio reso famoso da Chaplin nel cinema muto, visto che Il Grande Dittatore sarà il primo film con il sonoro nella carriera di Chaplin. Sarà poi il suo film più costoso visto l’uso monumentale di comparse che farà, la complessità delle scene e la qualità dell’audio: la cosa di per sé non dovrebbe stupire più di tanto ma va considerato che vista la natura del film, Chaplin sapeva bene che avrebbe perso buona parte del mercato europeo. Infine perché sarà un film che prenderà di mira il regime nazista che nel 1940, avendo già dato il via alla storia che purtroppo conosciamo bene, faceva tremare il mondo.
I protagonisti del film sono due: l’oppressore e l’oppresso. Il primo è Adenoid Hynkel, parodia e caricatura di Adolf Hitler, dittatore dello stato di Tomania (Germania), che crede nella superiorità della razza ariana e dichiara gli ebrei nemici di questa. Il secondo è il barbiere ebreo, che perde la memoria alla fine della prima guerra mondiale e che torna a casa nel ghetto ebraico, proprio nel 1930, dopo una lunga permanenza in ospedale militare, quando Hynkel ha ormai pieni poteri.
Hynkel è costantemente la parodia della figura del dittatore: infatti Chaplin non perderà occasione per far apparire il dittatore come un essere fondamentalmente meschino, piccolo, incapace di prendere decisioni importanti senza che sia il suo secondo in comando, Garbitsch (Goebbles), a suggerirgli le giuste soluzioni, i piani di battaglia ed il da farsi in ogni momento.
Hynkel usa inizialmente gli ebrei come capro espiatorio per la situazione in cui versa la Tomania dalla fine della prima guerra mondiale. Metterà fine alla persecuzione di questi solo nel tentativo di avere un prestito da parte di un banchiere ebreo, con cui vorrebbe costruire un esercito per invadere l’Ostria (Austria). La persecuzione sarà ancora peggiore di prima dopo che il banchiere si rifiuterà di finanziare il dittatore.
Questi deciderà comunque di procedere con l’invasione, ma vi sarà un ulteriore problema: il dittatore di Batalia (Italia), Bonito Napoloni (caricatura di Benito Mussolini), ha schierato il suo esercito al confine con l’Ostria con intenzioni belligeranti. A questo punto ad Hynkel non resta che tentare di persuadere il proprio alleato a ritirarsi. Per fare questo, si organizza un incontro in cui le trattative diventano una grande occasione per Hynkel per mettere in mostra la propria mediocrità e per umiliarsi costantemente agli occhi di quello che dovrebbe essere un suo alleato.
Questa si rivelerà per Chaplin un’occasione per mettere alla berlina il tiranno e la tirannia in genere. I due infatti rimarranno incastrati in continui tentativi di dimostrare la propria superiorità, che porteranno ad uno stallo delle trattative: Hynkel firmerà il trattato di non aggressione se Napoloni ritirerà le truppe, Napoloni ritirerà le truppe se Hynkel firmerà il trattato.
Hynkel, ancora una volta sotto consiglio dell’onnipresente Garbitsch, firmerà il trattato per poi decidere di attaccare comunque l’Ostria. Mentre Hynkel si dedica anima e corpo alla conquista del mondo, il barbiere ebreo torna a casa. Privo della memoria, dovrà costantemente resistere alle vessazioni ed alle prepotenze delle camicie grigie, militari dello stato di Tomania. Verrà rinchiuso in un campo di concentramento, con un traditore dell’esercito, Schultz, che aveva deciso di opporsi all’invasione dell’Ostria e che era stato nascosto fino a quel momento proprio dal barbiere.
A questo punto la somiglianza incredibile tra il dittatore ed il barbiere, che, come detto all’inizio del film, dovrebbe essere casuale, porta ad uno scambio di persona, mettendo Hynkel in campo di concentramento ed il barbiere a capo della Tomania e alla guida dell’invasione dell’Ostria. L’idea di Chaplin di interpretare sia il barbiere che il dittatore è tanto semplice quanto geniale: in questo modo infatti rende uguali oppressore ed oppresso e li eleva allo stesso livello di uomini. Significa che nessuno ha il diritto di poter credere nella superiorità di una razza, religione o cultura e nessuno in funzione di questa può decidere della sorte dell’altro. Sono due le scene del film che in particolare resteranno nella storia. La prima è quella in cui Hynkel è ormai stato convinto da Garbitsch di essere destinato ad essere il futuro padrone del mondo. Nella sua mania di grandezza Hynkel giocherà con il mappamondo che è nel suo studio. In quei pochi minuti Chaplin ci mostra la piccolezza e la superficialità del dittatore stesso. Hynkel, infatti, come un bambino che gioca con il fuoco, palleggerà il mappamondo, estraniandosi dalla realtà e sentendosi già il Dio che è convinto diventerà presto. Come il bambino che si scotta, così Hynkel sarà chiamato a fare i conti con la realtà, che lo obbligherà alla disperazione quando, facendogli scoppiare il mappamondo tra le mani, gli ricorderà che la sua grandezza non è poi così realistica.
La seconda è la scena finale del film. Il barbiere ebreo indossa l’uniforme del dittatore, ed ha completato a suo nome l’invasione dell’Ostria e deve pronunciare il discorso della vittoria.
A questo punto Charlie Chaplin interpreta un barbiere che ha fatto di tutto per far valere i proprio diritti alla vita ed alla libertà, e che per sopravvivere deve interpretare il ruolo del dittatore. Per quasi cinque minuti il barbiere guarderà fisso nella telecamera, negli occhi di tutti gli spettatori e pronuncerà un discorso unico, pieno di voglia di amore, pace e libertà.
Grazie alla semplicità ed alla genialità, con ironia e sarcasmo, Il Grande Dittatore diventa un’opera unica, rivoluzionaria, simbolo di antimilitarismo e pacifismo, insegnamento per le generazioni presenti e future.